il Fatto Quotidiano, 10 novembre 2020
Biografia di Marco Mancini
È l’agente meno segreto d’Italia. La sua foto è comparsa sui giornali e le tv di tutto il mondo mentre, volto contratto, giubbotto nero di pelle, aiuta la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, ferita, a scendere dall’aereo che l’aveva riportata a Roma dopo il rapimento in Iraq. Era il 5 marzo 2005. Marco Mancini era il capo della Divisione controspionaggio del Sismi (il servizio di sicurezza militare). Carabiniere dell’antiterrorismo di Carlo Alberto dalla Chiesa, era poi rapidamente diventato il braccio operativo del direttore del Sismi, il generale Nicolò Pollari.
Un anno dopo, il 5 luglio 2006, le sue foto scattate a Ciampino tornano a fare il giro del mondo: Mancini viene arrestato con l’accusa di concorso in sequestro di persona. I pm della Procura di Milano Armando Spataro e Ferdinando Pomarici lo accusano di aver aiutato gli americani della Cia a rapire un imam egiziano chiamato Abu Omar, prelevato in pieno giorno a Milano il 17 febbraio 2003 e portato al Cairo, dove viene interrogato e torturato per mesi. È una delle tante extraordinary rendition realizzate nel mondo dall’amministrazione Usa dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre. È l’unica che viene perseguita e giudicata, in nome del principio che la legge è uguale per tutti e che “lo Stato”, dice Spataro, “non può comportarsi come l’Anonima sequestri”. Con un’indagine da film americano, i pm milanesi individuano e fanno processare 26 agenti della Cia entrati in azione a Milano e trovano prove del coinvolgimento, almeno nella fase preparatoria, del Sismi di Pollari e Mancini. Gli americani sono condannati, gli italiani sono salvati dal segreto di Stato: non luogo a procedere in primo grado e in appello. Si oppone la Cassazione: il segreto di Stato non può mai coprire un fatto-reato. Così il nuovo processo d’appello, nel 2013, condanna Mancini a 9 anni e Pollari a 10. Ma intanto il segreto di Stato è confermato dai governi che si succedono (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi), che sollevano conflitti d’attribuzione tra poteri dello Stato, ricorrendo alla Corte costituzionale contro pm e giudici. La sentenza della Consulta, nel 2014, estende il segreto di Stato ai documenti del processo Abu Omar, sostenendo che copre non un fatto-reato, ma gli assetti interni dei servizi e i loro rapporti con la Cia. La Cassazione prende atto e annulla le condanne a Mancini, Pollari e altri tre agenti del Sismi: improcessabili per segreto di Stato.
Sarà la Corte europea di Strasburgo, nel 2016, a stabilire che così l’Italia ha violato cinque diritti umani sanciti dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo.
Alla porta di Mancini, la Procura suona due volte: lo fa arrestare di nuovo il 12 dicembre 2006, accusandolo questa volta di essere coinvolto nei dossieraggi illegali realizzati dalla struttura di security della Pirelli-Telecom Italia, diretta da un suo vecchio amico, Giuliano Tavaroli, collega ai tempi eroici dell’antiterrorismo. Secondo i pm, i due avevano messo in piedi una sorta di servizio segreto parallelo, pubblico-privato, che spiava e raccoglieva materiale riservato su centinaia di persone, imprenditori, politici, calciatori. Ma per lui scatta di nuovo il segreto di Stato: sui rapporti tra Sismi e Telecom.
La sua storia più delicata riguarda proprio il rapimento di Giuliana Sgrena, accanto a cui Mancini ha messo la sua faccia per sempre. La va ad accogliere sulla pista di Ciampino perché deve sostituire il collega Nicola Calipari, il dirigente del Sismi ucciso il 4 marzo 2005 da un soldato americano a un posto di blocco mentre stava accompagnando la giornalista all’aeroporto di Baghdad per riportarla in Italia. La vedova, Rosa Calipari, sostiene in un libro che suo marito potrebbe essere rimasto vittima di un conflitto interno al Sismi. Descrive la direzione di Pollari e Mancini come “ambigua, che agiva machiavellicamente su due linee strategiche opposte e alla fine contrapposte, un gioco che costerà la vita a Nicola”. Calipari era a favore della trattativa con i rapitori, a cui erano invece contrari gli americani; Mancini, da sempre vicino agli americani, era favorevole al blitz militare. Tutto dimenticato. Ora per Mancini potrebbe essere la vigilia di un grande ritorno in campo.