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 2020  novembre 10 Martedì calendario

QQAN62 Vite di ipocondriaci illustri

QQAN62

Charles gira per casa su una rudimentale carrozzella per non affaticarsi, Marcel pretende in bagno non meno di 25 asciugamani puliti al giorno, mentre Glenn, “scocciato dalla necessità di mangiare”, si nutre solo di biscotti. Darwin, Proust e Gould sono solo un terzo degli svalvolati protagonisti del saggio di Brian Dillon, in uscita giovedì con il Saggiatore: Vite di nove ipocondriaci eccellenti, più uno in appendice (Michael Jackson).
“Essere innamorati della propria malattia”; così Freud definisce il temperamento ipocondriaco, un’inclinazione, appunto, più che una patologia, individuata sin dall’antichità: per Ippocrate l’ipocondrio è situato appena sotto la gabbia toracica. Alla sensibilità ipocondriaca si associa, comunque, una lunga serie di disturbi, psichiatrici e non, dall’alito cattivo alla melancolia, dall’ansia alla depressione, dalla stipsi all’esaurimento nervoso… una congerie di mali difficilmente classificabili. Qui Dillon si ferma a una cernita di nove malati immaginari di genio, tralasciandone altri (come Dostoevskij e la Dickinson), ma citando alcuni personaggi di finzione, quali l’Usher di Poe e il Des Esseintes di Huysmans…
Marcel Proust si sveglia alle 16, o alle 18, e fa una colazione meticolosa: “Un caffè a infusione lenta, molto forte, in un doppio bollitore e due tazze” e un croissant, più uno sempre disponibile in cucina. La sua è una “personalità sensibile, nevrastenica”, peggiorata dall’asma che, all’epoca, “è considerata una forma di nevrosi ereditaria tipica della classe agiata”. Come bizzarro rimedio, vive recluso in stanza, tra la polvere e i fumi dell’oppio, ma è ossessionato dagli odori (nessun ospite può portare fiori o usare il profumo). È altrettanto puntiglioso con gli asciugamani, 20-25 al giorno: “Mia cara”, spiega alla cameriera, “un asciugamano usato due volte si inumidisce troppo e mi screpola la pelle”. In compenso, butta via le medicine prescrittegli e, verso la fine della vita, è in grado di nutrirsi solo di birra gelata. Schizzinoso è pure Glenn Gould, che odia essere toccato (nemmeno con una stretta di mano) per paura dei germi e dei traumi, tanto da denunciare un tecnico, che gli ha poggiato una mano sulla spalla, chiedendo 300 mila dollari di danni per “infortunio alla radice nervosa del collo”. Preoccupato di prendere freddo persino in estate, odia l’aria condizionata, gli aerei e i luoghi affollati. Si nutre di biscotti e sogna di pasteggiare a pillole, “scocciato com’è dalla necessità di mangiare”. Al contrario, ha una conoscenza enciclopedica dei farmaci e si cura da sé: barbiturici, tranquillanti, pillole per l’ipertensione, il mal di testa, la gotta e la costipazione, antibiotici à gogo, vitamina C, caffeina e codeina. Solo suonare lo cheta perché è una “esperienza uterina”.
Andy Warhol si ritrova in un “corpo cattivo” e malato sin da bambino (ballo di San Vito, febbre reumatica, itterizia…): gira con trucco e parrucco e un corsetto per sembrare più bello; è ossessionato dall’aspetto fisico, lui così macilento, senza capelli e brufoloso. La pelle “a macchie” – dice – l’ha presa come un virus per strada, incrociando una “donna bicolore”. Terrorizzato da medici e ospedali – che paragona a lager –, si affida a strani guru e cure, come quella dei cristalli intorno al collo. Alla modica cifra di 75 dollari a visita. “In un certo senso, per Warhol, tutte le malattie sono magiche”. Pur essendo uomo di scienza, anche Charles Darwin ha qualche problema psico-magico: si fabbrica una rudimentale sedia a rotelle con cui gira per casa; è sempre stanco e malaticcio, “apatico e inquieto”; soffre di una “sensibilità penosa” e gli costa fatica apparire in pubblico, persino al matrimonio della figlia. Conduce una dieta a base di vino e spezie, biscotti e uvetta, menta piperita e laudano (oppio). Difficile immaginarsi che non abbia almeno la gastrite. La sua fortuna, però, è sposare una crocerossina, la cugina Emma Wedgwood, altrettanto fusa: “Se sapeste come desidero stare con voi quando siete malato!”.
Sfilano, poi, ipocondriaci meno noti, come lo scrittore scozzese James Boswell (1740-1795), “un insetto” che per tutta la vita “ha tormentato se stesso”, pigro, dissoluto e spaventato dal biliardo (!), o l’infermiera di guerra Florence Nightingale (1820-1910), passata da eroina da campo a “Madonna di gesso”, lo spettro di se stessa, passivo-aggressiva e nevrastenica. Se l’uomo è etichettato come ipocondriaco, la donna è semplicemente isterica, anche se entrambi sono prede degli stessi demoni, sofferenze e spleen. È il caso di Charlotte Brontë: “Temperamento in prevalenza nervoso. Cervello grosso… tende ad avere una visione delle cose più pessimista rispetto a quanto giustificato dai fatti”. Morbosa, vive una vita parallela e fittizia, ha visioni, irrequietezza, fragilità, sensibilità, “incapacità di dispensare quanto ricevere piacere”. La malattia è però il sale della sua opera, il motore della creatività, tanto che la stessa Jane (Eyre), “sovreccitata o sovraffaticata”, le fa da specchio. Altra “sorella di” sofferente è Alice James, parente di Henry e William: le viene diagnosticata una buffa “gotta allo stomaco”, quando lei dice di “esplodere” e “fare la pazza”. Pazzo vero è Daniel Paul Schreber, autore nel 1903 di Memorie di un malato di nervi, poi ripreso da Freud in Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia: il giurista soffre di allucinazioni, tic e tremori. Crede che il suo corpo si stia trasformando in femmina e vagheggia su “come è bello essere una donna che soggiace alla copula”. Si sente sempre fuori posto, non solo nella sua pelle: la sua “anima è racchiusa nei nervi” e lui, per tutta la vita, in un manicomio.