Avvenire, 10 novembre 2020
Caicedo, il moderno Cesarini
Quando è finita per tutti, per Felipe Caicedo non è ancora finita. Senza star lì a filosofeggiare sul concetto di tempo di Stephen Hawking («Nella teoria della relatività non esiste un tempo assoluto, ognuno ha una propria personale misura del tempo») o senza andare a ripescare la celebre risposta del Bianconiglio ad Alice nel Paese delle meraviglie («Per quanto tempo è per sempre?», «A volte, solo un secondo»), ci basti qui la citazione-pop diÈ tutto un attimo, come cantava Anna Oxa nell’anno di grazia 1986. Esattamente come la Oxa, anche l’attaccante extratime della Lazio «vive il tempo più vicino», cioè quel sospiro prima della fine, del triplice fischio, del “The end” sullo schermo. Contro la Juventus – agguantando il più insperato dei pareggi nella bolla che galleggia tra il minuto 94 e il minuto 95 – Caicedo ha tenuto fede alla sua fama di “moderno Cesarini”, replicando un film già visto. Una settimana fa si era spinto oltre le colonne d’Ercole, segnando al minuto 98 di Torino-Lazio 3-4. L’ecuadoriano non è nuovo a queste imprese. Quando la par- tita declina verso un finale già scritto da altri, Caicedo irrompe nel romanzo, come un personaggio imprevisto che si prende la scena. Nella scorsa stagione è andato a segno al minuto 98 (Cagliari-Lazio 1-2), al minuto 95 (Lazio-Juventus 3-1) e al minuto 91 (Sassuolo- Lazio 1-2). Non si sveglia tardi lui, è che quando si sveglia gli avversari già dormono.
È anche – il gol agli sgoccioli – il marchio di fabbrica della Lazio. I biancocelesti, a partire dalla stagione 2018-2019, hanno segnato 14 gol oltre il 90°, cioè quasi l’11% delle reti di tutta la Serie A (137) arrivate nel recupero. Zona Cesarini, si chiamava una volta. Omaggio a Renato Cesarini campione oriundo con la Juventus negli anni ’30 – che marcò il gol della vittoria allo scadere di Italia-Ungheria, il 13 dicembre del 1931: 3 2 per gli azzurri, inizia la leggenda grazie ad un’intuizione del giornalista Eugenio Danese, che battezza per primo la «Zona Cesarini». Da allora il gol che arriva come l’ultimo treno della notte ha ammantato di fascino decine e decine di partite. Oltre il 90° arrivarono – nella finale di Champions del 1999 – i gol di Sheringham e Solskjaer con cui il Manchester United affossò il Bayern Monaco. Momento epico anche nel 2014 quando Sergio Ramos al 93° rimise in parità il derby di Madrid tra Atletico e Real, offrendo ai Blancos i supplementari e il trionfo. Ci sono gol che assegnano scudetti – Aguero nel recupero decise Manchester City-Queens Park Rangers nel 2012 – e altri che spalancano le porte della leggenda, come quello di Iniesta (maggio 2009) nella semifinale di Champions Chelsea-Barcellona: senza quel gol, la storia (di Guardiola e del Barca) sarebbe stata diversa.
Il gol che mette la parola fine quando tutto è già finito, porta con sé i riflessi di bellezza di tutte le cose che non t’aspetti. Era il 1996 quando l’allora designatore arbitrale Paolo Casarin convinse la Fifa a introdurre la lavagna elettronica per segnalare il tempo di recupero, in segno di trasparenza (gli arbitri fino ad allora si regolavano con molto mestiere e altrettanti sospetti) e di rispetto per il pubblico. Non furono poche le polemiche innescate da quello che viene ritenuto il primo gol certificato in Serie A oltre il 90°: lo segnò nel febbraio del ’96 il laziale (allora è una mania) Fuser, in un Udinese-Lazio. Il cronometro si fermò al 95’22’, pochi attimi prima dei sei minuti di recupero concessi dall’arbitro Treossi. Era finita. Anzi no. C’è tempo per tutto, quando il Tempo ci è amico.