il Fatto Quotidiano, 9 novembre 2020
1QQAN40 Biografia di Nilde Iotti
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Quegli zoccoli con cui le più giovani elette si presentavano alla Camera non li poteva sopportare, no. Non tanto perché fosse conservatrice, lungi da lei, ma perché dopo la guerra aveva dovuto duramente combattere contro l’immagine stereotipata delle donne comuniste, arrabbiate, brutte e malvestite, e abbigliarsi con accuratezza significava, per lei, affermare che il Partito comunista era un fenomeno ordinario, non violento, della società italiana. D’altronde, presentarsi come una donna normale, per poi fare riforme audaci e radicali per le tutte, è stata la strada scelta ogni giorno da Nilde Iotti. La racconta, a cento anni dalla sua nascita, il libro di Peter Marcias La Reggitora (edito da Solferino, in libreria dal 12 novembre), in cui il regista, autore di un film sulla prima donna italiana presidente della Camera, ha inserito interviste e testimonianze rimaste fuori dallo schermo. “Amabile, forte, serena, energica, sensibilissima e generosissima nei rapporti interpersonali, intransigente sul piano delle regole e con una concezione sacrale delle istituzioni, una donna non femminista che pure condusse battaglie fondamentali”: così la descrive Marcias, che fa emergere con forza come per Iotti, nel paese in cui ancora dopo la guerra una parte del Pci era ostile a dare il voto alle donne per paura del loro cattolicesimo e dove solo negli anni Sessanta queste furono ammesse in magistratura, l’unica strada fosse la difesa di tutte le donne a oltranza. Per questo – ricorda tra le pagine Livia Turco – costrinse tutte le deputate del centrosinistra ad alzarsi e applaudire la neopresidente della Camera Irene Pivetti, malgrado fosse di un partito avverso.
Il volume ripercorre anche le tappe della sua “progressione”, perché Nilde di carriera non voleva sentire parlare. La formazione in un’università cattolica – “meglio i cattolici che i fascisti”, come le aveva sempre detto suo padre Egidio –, poi la guerra, durante la quale svolge la pericolosa attività di “portaordini” ai partigiani, infine la fondazione dell’Unione Donne italiane nel 1945. Fu eletta nel 1946 all’Assemblea Costituente, fu membro dal 1963 della commissione Affari costituzionali, poi eletta nel 1969 al Parlamento europeo, ancora presidente della Camera dal 1979 fino al 1992, infine presidente della commissione parlamentare per le Riforme istituzionali nel 1993: in tutti questi anni lavora incessantemente per la riforma del diritto di famiglia – l’abolizione della patria potestà, il riconoscimento dei figli illegittimi, l’abolizione della dote –, l’introduzione del divorzio, il referendum sull’aborto, la possibilità per le donne di conciliare vita e famiglia, convinta com’era che “l’organizzazione sociale del tempo non è un dato immutabile o asettico, ma è il frutto di rapporti sociali e di classe e di sesso che possono essere cambiati”. Ovviamente, centrale è la relazione con Togliatti, relazione che, come sottolinea l’amica Loretta Giaroni, “le impedì a lungo di emergere, e non il contrario”. D’altronde, il Pci non voleva dare l’impressione di sostenere la rottura dei legami tradizionali, mentre la moglie di Togliatti, Rita Montagnana, era stata partigiana e nata a Torino, dove Nilde non poté più mettere piede. Di fatto, ricorda con una nota di tristezza Luciana Castellina, la normalizzazione di un rapporto d’amore intenso, come testimoniano le lettere “sorprendenti e appassionate” scritte dal segretario del Pci, avvenne solo con la morte di lui, “quando Nilde fu in qualche modo riconosciuta come la sua compagna”.
Anche il suo portavoce, Giorgio Frasca Polara, racconta la Nilde Iotti privata: quella che, costretta a dormire a Montecitorio, utilizzava solo una stanza da letto e un piccolo soggiorno, che si informava sulle famiglie degli “assistenti” della Camera (che non chiamava commessi), che si mischiava tra la folla per andare a vedere magari un piccolo museo – successe una volta a Venezia dove fu abbracciata da un gruppo di suore. Ricorda anche quel giorno in cui, chiamata a partecipare a una cerimonia sulla Resistenza, buttò giù su un foglietto, per il discorso, una serie di riforme istituzionali, dal federalismo alla riduzione del numero dei parlamentari; e ancora quando, ormai anziana, rifiutò l’elezione a senatore a vita da parte di Cossiga, un modo per metterla da parte. Ciò che più colpisce, alla fine, è la caratteristica, perduta, di una generazione ma ancor più della donna Nilde Iotti: per la quale stare su uno scranno non era una conquista personale, ma anzi qualcosa che, come disse nel suo noto discorso di insediamento alla Camera, “supera la mia persona e investe milioni di donne (…). Essere stata una di loro e aver speso tanta parte del mio impegno per il loro riscatto, per l’affermazione di una loro pari responsabilità sociale e umana, costituisce e costituirà sempre un motivo di orgoglio della mia vita”.