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 2020  novembre 08 Domenica calendario

Biografia di Marisa Malagoli Togliatti

Di come grandi eventi storici non si sarebbero compiuti senza piccoli gesti all’apparenza insignificanti. Il Memoriale di Yalta, il testamento politico che Palmiro Togliatti scrisse nell’estate del 1964 poco prima di morire, forse non sarebbe arrivato a noi senza il risultato degli esami di maturità del liceo classico Giulio Cesare di Roma dell’anno scolastico 1961-62. Yalta e il liceo sono separati da tremila chilometri. «Ero molto brava a scuola e infatti gli esami di maturità del 1962 vanno benissimo. Togliatti, Iotti e io partiamo per le vacanze di agosto, in montagna, quell’anno a Cogne. Tornata a Roma, mancavano più di due mesi prima che iniziassero i corsi di Medicina all’università. La mia famiglia di origine è contadina; e nella testa dei contadini emiliani c’è sempre la consapevolezza della importanza di saper fare le cose anche con le mani, della pratica che sempre e comunque deve accompagnare la vita di tutti i giorni. Decido quindi di iscrivermi a un corso di dattilografia...». Marisa Malagoli Togliatti, psichiatra e docente universitaria di grande fama, oggi ha 76 anni. Quando ne aveva sei, suo fratello Arturo venne ucciso dalla polizia durante lo sciopero del 9 gennaio 1950 indetto dalla Cgil contro i licenziamenti alle Fonderie Riunite di Modena. Poi era stata adottata da Palmiro Togliatti e Nilde Iotti.
Come usava tra comunisti, ancora oggi li chiama quasi sempre per cognome, «Iotti» e «Togliatti», qualche volta «Nilde» e «Palmiro», mai «mamma» o «papà». «In casa li chiamavo zio e zia, per rispetto dei miei genitori. Vivevamo in largo Arbe, nel quartiere Montesacro di Roma, immobile di proprietà del Partito comunista italiano. Accanto c’era un istituto di suore con un pensionato per signore anziane. Ora anche la palazzina in cui vivevamo è delle suore». La dattilografia le servì per battere a macchina il Memoriale di Yalta.
Partiste per l’Urss in tre, tornaste con Togliatti morto e quel testamento.
«Il 9 agosto del 1964 partiamo per l’Unione Sovietica, Togliatti voleva vedere con i suoi occhi come stavano le cose ovvero i rapporti tra Urss e Cina e all’interno delle autorità sovietiche. Arrivati a Mosca, Krusciov non si trovava, protetto da una coltre di segreti e mezze verità, non si capiva dove fosse. Ci dicono di andare qualche giorno in vacanza in Crimea e ci ospitano in una villa che era appartenuta allo zar Alessandro II».
Arrivati a Yalta, che cosa succede?
«Togliatti inizia a scrivere il memoriale con il suo famoso inchiostro verde. Quando lui uscì per andare al campo dei pionieri di Artek, Nilde mi dettava gli appunti e io li battevo a macchina. Il 13 agosto egli non fece ritorno, arrivò una macchina, ci dissero che era stato male e che...».
Ha mai avuto sospetti sulla sua morte?
«Mai, nessuno. Togliatti, che all’epoca aveva 71 anni, aveva avuto importanti problemi di salute. Nell’attentato subito nel ‘48 gli avevano dovuto asportare mezzo polmone; negli anni successivi aveva avuto altre di quelle che, di questi tempi, chiameremmo patologie pregresse. Poi in quel periodo non c’erano le tensioni con l’Urss che c’erano state molti anni prima, quando Togliatti aveva rifiutato l’invito di Stalin di trasferirsi in Urss per guidare il Comintern, l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti».
Quanto pesava quel cognome sulla sua carta d’identità?
«Partecipavo alle manifestazioni, come tutti i compagni. Ricordo quelle dopo i fatti di Genova del giugno ‘60. I poliziotti mi fermarono, accusata di tentativo di violenza privata. Tornata a casa ricordo un Togliatti divertito: “Ecco, il nostro avanzo di galera...”. Alle visite del carcere minorile di Porta Portese il medico mi disse: “Ma che ci sta a fare qui?”. Avevo 16 anni ed ero una ragazza in ottima forma. Scrisse sul referto che ero gracilissima, quindi incompatibile col carcere».
Com’erano Togliatti e Iotti nella vita domestica quotidiana?
«Due persone molto divertenti, distanti dall’immagine sobria e austera che avevano in pubblico. Si rideva e si scherzava molto, dentro casa. E si coltivavano passioni, come dire, normali».
Per esempio?
«Togliatti non poteva fare a meno dell’enigmistica. Lo ricordo là, col giornale in mano, impegnato nel cruciverba senza schema, che risolveva sempre. E poi il cinema: amava molto Rossellini e Visconti, di cui era amico. Ricordo la volta che andammo al cinema Barberini nel 1963 a vedere Il Gattopardo. A lui piacque anche se alcuni critici di sinistra l’avevano stroncato. Ci chiamarono per andare a Botteghe Oscure per festeggiare un ottimo risultato alle elezioni. Togliatti rispose: “Con calma, quando finisce il film”».

Ricorda tracce delle sofferenze per come la loro storia era stata ostacolata dal partito?
«Quando sono arrivata io, nel 1950, la situazione si era consolidata e quelle sofferenze erano alle spalle. Però Nilde, per esempio, nella sua Reggio Emilia a volte la hanno criticata e in alcuni casi il partito dovette candidarla altrove, a Bologna o nelle Marche».
Iotti trascinò il Pci nella campagna per il divorzio del ‘74.
«Ricordo comizi anche in piazze deserte, coi parroci che “chiudevano” le famiglie dentro le case perché non partecipassero. Nilde parlava alle piazze vuote. “Da dietro le finestre, le donne mi sentiranno”. Aveva ragione».
Ha mai incontrato Aldo, il figlio che Togliatti aveva avuto da Rita Montagnana, che passò gran parte della sua vita chiuso in un istituto a Modena?
«Lo ricordo a casa, a Roma. Io bambina, lui già grande. Un giorno venne a visitarlo Giovanni Bollea, il padre della neuropsichiatria infantile. La sindrome di cui soffriva era chiara, chiari anche i sintomi, purtroppo. Pensi che intreccio: è stato fino alla sua morte in una clinica a Modena, la mia città, accudito prima da un compagno che si chiamava Onelio Pini, che gli portava le sigarette e le parole crociate, passione ereditata dal padre. Poi, alla fine, da un’infermiera che era molto amica di mia sorella, che mi aggiornava costantemente. Si chiamava Marisa, come me...».
CARTA D’IDENTITÀ

MALAGOLI – Marisa nasce nel 1944 in una famiglia contadina a Nonantola, nel Modenese. Ha 10 fratelli tra cui uno, a 22 anni, viene ucciso dalla polizia nel 1950 con altri 5 operai, nell’Eccidio delle Fonderie Riunite di Modena, per impedire l’occupazione della fabbrica contro i licenziamenti. Quando Togliatti è a Modena per la commemorazione decide, con Nilde Jotti, di ospitare a Roma uno dei fratelli Malagoli per farlo studiare. La famiglia sceglie Marisa
TOGLIATTI – Negli Anni ‘50 non esisteva ancora la pratica dell’adozione e ci vollero sette anni perché Marisa potesse aggiungere al suo il cognome Togliatti. La passione politica la accompagnò presto: a 16 anni faceva propaganda per lo sciopero contro Tambroni. Laureata, diventa psichiatra e docente universitaria