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 2020  novembre 08 Domenica calendario

1QQAFM10 Su "Oggi faccio azzurro" di Daria Bignardi (Mondadori)

1QQAFM10

«Tutte le banalità che si dicono sul divorzio – quando è cruento come il mio – sono vere: è peggio di un lutto, è una ferita straziante, peggio di una malattia», riconosce Galla, 47 anni, la protagonista del nuovo romanzo di Daria Bignardi, Oggi faccio azzurro (Mondadori). La storia di un dolore da superare, quello di una separazione dopo vent’anni insieme. Ma prima di tutto la storia di una donna. Una donna senza figli, che si ritrova a dover ricostruire una vita da sola. Troppo tardi? E anche: è possibile? Sembra chiedere Galla alla sua analista, Anna Del Frate, e al mondo attorno. Ex modella, oggi stylist di moda, Galla viene lasciata da Doug quando cade in depressione dopo aver perso il bambino che aspettava. Tormento che si somma a tormento, solitudine a solitudine: non sarà mai madre, neppure più moglie.
L’analista spiega che molti matrimoni finiscono in seguito a una malattia della moglie. «Il marito nel momento critico è presente ma appena lei guarisce la lascia». È questa nuova dimensione che Galla deve imparare ad abitare. Tra analisi, lavoro e volontariato in carcere dove canta nel coro dei detenuti. Tra un io tanto indulgente con gli altri, quanto severo con sé stesso, e un super io che ha la voce di Gabriele Munter, pittrice, nonché compagna di Vasilij Kandinskij, in vita donna combattiva, libera – in vita, poiché morta da sessant’anni. Super io che rimbecca Galla, demolisce l’ex marito se lei prova a difenderlo («ti ha succhiato energia fino a che è servito. E ora che sei depressa ti ha lasciata»). Super io puntiglioso e saccente che la pungola, e allo stesso tempo le tiene compagnia. Una voce, quella di Gabriele, che a tratti ricorda l’angelo custode di Paolo Nori utilizzato dallo scrittore per martoriare Learco Ferrari. A tratti le voci di parenti e uomini che risuonano nella testa di Sasha, protagonista di Buongiorno, mezzanotte di Jean Rhys. In quella di Gabriele difatti c’è ironia, capriccio, strazio.

Attraverso sfumature e differenze – rifuggendo i rispecchiamenti speculari – la scrittrice riflette la protagonista negli altri personaggi, dalla dottoressa che ha perso il marito in un incidente stradale, a Gabriele lasciata da Kandinskij per una donna giovane. Il gioco di luci si moltiplica, arrivando a coinvolgere tutti i personaggi che compaiono nella storia. Come i pazienti della dottoressa Del Frate che Galla incontra entrando e uscendo dalle sedute: Bianca e Nicola.
E se Bianca, 17 anni, è immediatamente identificabile come alter ego adolescente di Galla, o come la figlia mai avuta, nelle fattezze della figlia non ideale (tocco di maestria), sfumato – e dunque sorprendente – è il rispecchiamento con Nicola. Cinquantenne, operatore umanitario, che dice di sé «sono migliorato, non ci provo più con tutte». E anche: «Non mi faccio più le vecchie, le brutte, le pazze, le donatrici». Nicola che classifica le donne per come sono a letto (spietate e bellissime le pagine in prima persona in cui illustra la strategia di seduzione, e di fuga, il modo di distogliere il pensiero da Rosa, la donna che ama e che lo ha lasciato). Inizialmente Nicola ha perciò le fattezze del maschio colpevole, il capro espiatorio ideale su cui tutte le femmine abbandonate del libro potrebbero rivalersi, inclusa Bianca. Perché persino Bianca, così giovane, deve fronteggiare separazioni traumatiche: dalla ex fidanzata Andre (altra diversificazione virtuosa, che si fa riflessione sul genere – è davvero una questione di maschi e femmine?); al rapper americano, suo idolo, morto ammazzato a vent’anni, al padre che ha lasciato la madre dopo anni di tradimenti – tutte variazioni sul tema dell’abbandono.

Quando un evento inaspettato mette in contatto Galla, Bianca e Nicola, il romanzo va verso l’epifania finale dove donne e uomini diventano pari, così le ferite – esiste una gerarchia della sofferenza?
Romanzo dopo romanzo, Daria Bignardi compone un universo femminile variegato di forza e fragilità. E mentre delinea le donne, definisce gli uomini – mai in opposizione.
Da Non vi lascerò orfani a Storia della mia ansia: romanzi che sono anatomia del dolore. In Oggi faccio azzurro tuttavia c’è qualcosa di nuovo e di bellissimo: si tratta di una rappresentazione – resa struttura – del dentro e del fuori, unica reale opposizione (non quella di genere, non quella sociale).
Il dentro e fuori metaforico (dentro e fuori il femminile/maschile, dentro e fuori il tormento, dentro e fuori sé stessi) si fa realtà concreta nel caso dei detenuti. A questo punto il dentro del romanzo è dimensione espansa: dalla coscienza della protagonista alle mura della prigione.
E il fuori? Domanda che risuona per l’intera storia a vari livelli, che è poi il vero limite esistenziale, il rischio che ogni trauma comporta: esasperare l’idea del fuori, ingigantirla, farne lo spauracchio, l’ostacolo. Ritrarsi. Rinunciare a vivere, come Bianca, di tutti il personaggio maggiormente inibito (non va a scuola non perché non voglia – ogni sera prepara lo zaino per il giorno seguente – ma perché non può: sulla porta di casa viene assalita dalla paura – nausea, freddo).

Oggi faccio azzurro è un romanzo che diventa cura, come tutti i romanzi della Bignardi: che sia al lutto, alla malattia, alla separazione.
Esiste un modo di essere adulti (e anche qui: Bignardi è un raro caso di scrittore a non avere il culto della giovinezza, a non cadere nella tentazione di raccontare la giovinezza come unico tempo possibile di felicità). Adulti consapevoli che attraverso tentativi – tentativi su tentativi – circoscrivono il dolore. Nella scarnificazione degli eventi, che passa per la scarnificazione della lingua, Daria Bignardi svela la natura della sofferenza (immergetevi, precipitate, sembra dire, quasi un invito, che è poi sollecitazione alla vita – ecco la cura). E facendo vivere il dolore così intensamente ai suoi personaggi, l’autrice lo neutralizza.