Il Sole 24 Ore, 8 novembre 2020
Quei Padri pellegrini birichini
C’era un’epoca, ancora qualche secolo fa, in cui la grande preoccupazione degli uomini, e forse ancor più delle donne – diciamo: dell’umanità -, era la salvezza dell’anima. Anche perché si sapeva che ai mali fisici non poteva esserci molto rimedio. Oggi è il contrario. La cosa a cui si sta più attenti è la salute del corpo. Merito della scienza e risvolto della diffusa convinzione della assurdità della morte. Il pensiero che tutto, ma proprio tutto, finisca con l’ultimo giorno.
Aggravata da mille dubbi è una considerazione, questa, con cui ci si trova a fare i conti ogniqualvolta capiti di riflettere su certi avvenimenti epocali e ci si chieda quale possa essere stato il vero movente di chi ne fu protagonista.
Giusto 400 anni fa, l’11 novembre 1620, secondo il calendario giuliano, un tre alberi inglese di nome Mayflower gettò l’ancora nella baia di Cape Cod, in America. Era partito da Plymouth il 16 settembre e aveva a bordo trenta marinai e un centinaio di persone tra uomini, donne e bambini. Intere famiglie, per lo più di artigiani dissidenti – bottai, carpentieri, mugnai, birrai, fabbri, cestai, tintori e tessitori – divenuti separatisti perché ormai convinti che la Chiesa d’Inghilterra si fosse fermata a metà strada tra Roma e la Riforma.
«Stranieri e pellegrini (...) alla ricerca di una patria» (Ebrei, 11:13-16), erano brava gente, come si suol dire: laboriosi e devoti, inclini al sacrificio e guidati dalla fede, che è «certezza di cose che si sperano» e «dimostrazione di cose che non si vedono» (Ebrei, 11:1). Gente, soprattutto, pronta ad affidarsi alla volontà del Signore, ovvero alla parola contenuta nelle Scritture, in cui peraltro, in qualità di popolo della nuova diaspora e lontano oltre 3mila miglia dalla madre patria e dalla civiltà, sarebbe stata sempre incline a leggerne anche le parti descrittive come un comandamento. La trave a cui potersi aggrappare nel mare in tempesta.
Dopo aver tentato di stabilirsi in Olanda con le loro attività, avevano messo insieme i quattrini per noleggiare una nave con la quale attraversare l’oceano alla ricerca di un luogo in cui vivere in pace e dare forma a quel Regno di Dio sulla Terra (Matteo, 3:2; 4:7; 1:15) alla cui realizzazione (Atti, 1:18) si erano votati.
Una chiesa e una società, entrambe composte di individui rigenerati a cui lo Spirito avesse toccato il cuore e che avessero reso testimonianza delle circostanze e modalità della loro avvenuta conversione. Una chiesa e una società esemplate sulle prime comunità cristiane descritte negli Atti degli Apostoli e composte di individui che avessero spezzato le catene del peccato, inteso non come trasgressione morale ma come limite della condizione naturale, e che avessero respinto per sempre le pretese di qualsiasi istituzione o creatura a controllare e dominare gli uomini in nome della divinità.
Passati alla storia come “Padri pellegrini” – definizione che entrò nell’uso comune a partire dall’800 -, non erano né accademici né dottori della Chiesa come i capi della Massachusetts Bay Colony che gli sopravvennero con la Grande Migrazione degli anni 30 e che li assorbirono nel 1691. Ma, al pari di tutti gli indipendenti nonconformisti della Chiesa d’Inghilterra, erano “puritani”.
Una parola che, bisogna dirlo, suscita più di un sospetto da quando quella geniale malalingua che fu H. L. Mencken – una sorta di Montanelli degli anni 20 – ebbe a scrivere che il puritanesimo «altro non è se non la paura di scoprire che qualcuno, da qualche parte, possa essere felice». E che la sua eredità era solo una diabolica ricetta per tormentare se stessi e il prossimo. Per non vivere e non lasciar vivere.
In verità i severi puritani della Nuova Inghilterra, che erano assai più attenti alle oscillazioni dell’anima di quanto non fossero (anche se lo furono, eccome!) al comportamento del corpo, perseguivano l’adulterio ma non permisero e non predicarono mai il celibato né l’astinenza sessuale, perché entrambe potevano essere un turbamento e una tentazione contro la purezza del cuore. Impedirono ai giovani di abitare da soli – cioè, al di fuori di un college o della famiglia presso la quale lavoravano come apprendisti – perché l’isolamento poteva generare pensieri e comportamenti che costituivano una minaccia o, comunque, un cattivo esempio per la comunità.
Condannavano l’ubriachezza ma dubitarono sempre, per ragioni igieniche, dell’acqua dei pozzi e delle sorgenti. Le loro bevande erano il sidro e la birra.
Diffidavano della cultura profana, nel senso che non attribuivano un valore salvifico alla elevazione intellettuale di per sé, ma si erano portati dal Vecchio Mondo intere biblioteche, e già dal 1647 avevano reso obbligatorio per ogni bambino il saper leggere e scrivere, così che fosse in grado di argomentare contro le forze oscure di Satana.
In ogni campo del sapere la loro suprema autorità erano le Scritture ma promossero la ricerca scientifica perché ritenevano che il mondo creato fosse un Libro, tutto da indagare, in cui si poteva leggere la volontà del Creatore. Cotton Mather (1663-1728) divenne membro corrispondente della famosa Royal Society di Londra. Suo padre Increase (1639-1723) era stato un attivo propagandista in favore dell’innesto del vaiolo contro ogni pregiudizio popolare. E Jonathan Edwards (1703-58) sarebbe morto anzitempo proprio per avere sperimentato su di sé quel vaccino.
Certo, non erano accomodanti né tolleranti nel senso moderno – cioè, relativistico – del termine. Guidati da ministri del culto a cui in patria era stata inibita la predicazione e che, soprattutto a seguito delle difficoltà fisiche affrontate con l’esilio, si erano rafforzati nella convinzione di essere nel giusto, ritenevano che non si potesse né dovesse scendere a patti con chi avesse una visione del mondo diversa dalla loro, così come loro non erano scesi a patti con i vescovi della Chiesa d’Inghilterra e se n’erano andati per sperimentare un modello di convivenza basato sul Patto (Covenant) tra Dio e l’uomo, di cui parlano le Scritture.
In campo politico non furono democratici, né potevano aspirare a esserlo. Non nel senso moderno. Nella loro comunità non si acquistava il diritto al voto con la nascita, o con la maggiore età, ma solo dopo una comprovata conversione che ammetteva l’individuo prima al tavolo della comunione e poi a quello degli aventi diritto a un’opinione.
Ma quei puritani gettarono le basi della moderna democrazia perché le loro cariche furono sempre elettive. Con l’eccezione della figura del governatore della colonia che era nominato dal re – fin da principio, in quella proto-repubblica che fu la Nuova Inghilterra – chiunque avesse una funzione pubblica, compreso il pastore della congregazione, era designato dalla comunità e a quella comunità doveva rispondere.
La loro volle essere, letteralmente, una teocrazia. Il governo dello Spirito attraverso le Scritture, le quali – diremmo noi oggi – vennero paradossalmente ad assumere la funzione di garanzia costituzionale. E non furono davvero mai, gli austeri congregazionalisti del Nuovo Mondo, una ierocrazia, ovvero i sostenitori di una forma di governo nelle mani esclusive del clero.
L’abitudine a intendere la religione come un rapporto personale con Dio, quando il Sacro Esperimento volse alla fine, lasciò in eredità a tutta l’America la convinzione che la responsabilità civile e politica è, e dev’essere sempre, personale e non collettiva. Perché è così che si voleva, e si vuole, Lassù.