il Fatto Quotidiano, 8 novembre 2020
QQAN93 Storia dell’hotel Chateau Marmont di Los Angeles
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Spesso è sufficiente una frase a incoraggiare la lettura di un libro: “Si dice che Los Angeles non abbia molto a cuore il proprio passato”, così si apre Il castello di Sunset Boulevard. Storia, avventure e segreti dell’albergo più celebre di Hollywood di Shawn Levy. Per chi un po’ conosce la città degli angeli questa frase stordisce, suona bizzarra ai limiti dello scorretto. Se c’è infatti una metropoli che vive di fatiscenza più che di fantascienza è proprio L. A., inclusa la sua “cittadella del cinema”, monumento nazionale di un passato glorioso. E allora, è vero, Los Angeles non ha a cuore il proprio passato perché vi è immersa al punto da non percepirlo più: la città vive il passato come un hic et nunc perpetuo, mascherando i ricordi, mercificando la Storia. Con Hollywood a regnare sovrana su questa grandiosa e dolentissima farsa.
Con la necessità di far ordine tra le polveri di stelle, quelle che assumono le sembianze di Norma Desmond sulla scalinata di Viale del tramonto, nel medesimo Sunset Boulevard si erge un edificio sontuoso, e per questo denominato “Il castello”. Si tratta del celeberrimo hotel Chateau Marmont, immoto e immutante nel suo aspetto fiabesco: “Sempre aperto. Sempre pronto a offrire un porto sicuro dal 1929”. Levy, che è un critico e storico cinematografico newyorkese e dunque sospettoso nei riguardi della trivialità losangelina, ha deciso di pubblicare un libro su questo “monumento” del passato che alberga nel presente perché questa è la vera casa di Hollywood, la sua “home”. Nel suddetto hotel vagamente ispirato al castello di Amboise sulla Loira la cronaca mondana e la cronaca nera sono mutate in Storia, mescolando realtà, mito e leggenda: nel 1982 John Belushi fu trovato morto in una stanza, nel 1968 Jim Morrison cadde strafatto da un balcone (sopravvivendo), decenni addietro l’aviatore-produttore Howard Hughes affittò una suite da cui godeva osservando “giovani corpi che si aggiravano a bordo piscina”, mentre una devastata Vivien Leigh “si disperava per la fine del suo matrimonio con Laurence Olivier in una suite tappezzata di foto di lui”.
E ancora, al Chateau Marmont – che si pregia di rimanere ben al di sotto degli standard del lusso – “James Dean conobbe Nicholas Ray, il regista di Gioventù bruciata, introducendosi nel suo bungalow dalla finestra invece che dalla porta; Anthony Perkins utilizzava la cabina telefonica pubblica perché non voleva che la centralinista lo ascoltasse; i Led Zeppelin entrarono nella hall in sella alle loro motociclette; Scarlett Johansson e Benicio Del Toro fecero sesso in ascensore la notte degli Oscar; Lindsay Lohan fu sbattuta fuori dopo avere accumulato – e mai saldato – un conto di quasi 50 mila dollari in due mesi”.
L’edificio è stato anche set di opere famose, dall’episodio Attico – L’uomo di Hollywood di Quentin Tarantino del collettivo Four Rooms (1995) a Somewhere (2010) di Sofia Coppola, comparendo anche in La La Land (2016) di Damien Chazelle e A Star is Born (2018) di Bradley Cooper.
Il libro di Levy è godibile nella sua cronistoria organizzata in sei parti, a cominciare dall’anno di fondazione (1927) “Il Sogno” fino al ventennio 1990-2019 “Un’epoca d’oro”, con la punta di diamante nella esclusivissima festa nei garage organizzata nella Notte degli Oscar 2018 dalla coppia “black” più glamour del momento, Beyoncé e Jay-Z. Da Stevie Wonder a Whoopi Goldberg, da Jamie Foxx a Rihanna, da Angela Bassett a Dave Chappelle, fino ai due freschi vincitori di Oscar, lo sceneggiatore e regista Jordan Peele e il compianto Kobe Bryant in veste di produttore cinematografico: “C’era tutta la Hollywood nera” fu il commento. “Con l’aggiunta di Leonardo DiCaprio e Tobey Maguire, perché quei due sembravano obbligati per legge a partecipare a eventi di tal fatta”.
Amato e abitato dalla Hollywood di sempre (anche perché garante di privacy e discrezione), il Castello di Sunset Boulevard non tramonterà mai proprio come il fantasma di Norma Desmond: un luogo di ombre inciso nella memoria come una pellicola senza fine.