la Repubblica, 8 novembre 2020
Il primo discorso di Biden da presidente eletto
WILMINGTON (DELAWARE) — «Sarò il presidente di tutti gli americani, che abbiano votato o meno per me». Il completo blu, i capelli a spazzola, la mascherina nera che non abbandona mai. Joe Biden sale sul palco eretto da giorni nel parcheggio del Chase Center, stringendo la mano della moglie Jill Jacobs (ma il vero cognome è il sicilianissimo Giacoppa) seguito da Kamala Harris in tailleur a pantalone col marito Doug Emohff. In America sono ormai le otto di sera, le due di notte in Italia. Il cielo limpidissimo si stria di fuochi d’artificio bianchi rossi e blu: i colori dell’immensa bandiera a stelle e strisce, tenuta alta da ben due gru. Ringraziare gli elettori tocca alla nuova vice da record, la 54enne ormai ex senatrice della California, prima vicepresidente donna, prima afroamericana, prima indo-americana e seconda biracial alla Casa Bianca, dopo Barack Obama: «Abbiamo vinto in tutto il Paese», esulta. Lasciando immediatamente il microfono: «È il momento di Joe».
Eccolo il nuovo presidente degli Stati Uniti, 78 anni il 20 novembre, il più anziano mai eletto. E con 72 milioni di preferenze, pure il più votato. Trionfante, al terzo tentativo della sua lunga carriera (ci provò nel 1988 e nel 2008) e al culmine di una vita tormentata dai lutti: la morte della moglie Nailia con la figlia Naomi in un incidente stradale del 1972, subito dopo la sua prima elezione in Senato. Quella del figlio Beau, per un tumore al cervello nel 2015, quando era ancora alla Casa Bianca come vice di Barack Obama. «Non sono mai stato tanto ottimista rispetto al futuro del nostro Paese», dice, mettendosi subito alle spalle la visione oscura e divisiva dell’America di Donald Trump. «Il 21esimo secolo ci appartiene. Siamo una sola America: avversari a volte, nemici mai. Grandi disaccordi portano a proficui dibattiti e a nuove soluzioni». Alla fine di un’aspra campagna condotta con ogni cautela nel pieno della pandemia che in America ha provocato 230mila morti, e dopo quattro lunghissimi giorni di conta dei voti dove non ha mai smesso di invitare alla «calma» gli elettori, Joe Biden ha a cuore un solo messaggio: «Torniamo ad essere Stati Uniti d’America, davvero». Per questo, promette, lavorerà fin da subito a riunificare il Paese, «restaurandone l’anima» secondo il suo slogan della prima ora, superando le partigianerie. E fin dal primo giorno cambierà le cose: «Lancerò una task force per affrontare in maniera seria l’emergenza Covid. Stanzierò nuovi aiuti a famiglie e piccoli business. Riporterò l’America negli accordi di Parigi sul clima, abbandonati da Trump proprio ieri». Questa volta l’applauso via clacson riservatogli dal pubblico, non è solo quello degli invitati alla grande festa drive- in: Joe Biden è ufficialmente il 46esimo presidente degli Stati Uniti. E a strombazzare per lui, c’è mezzo Paese. A Philadelphia, Pennsylvania, come a Tucson, Arizona – quegli Stati che coi loro voti hanno colmato l’ultimo miglio della vittoria – si balla in strada per ore. A Washington cantano in coro “You are fired”, sei licenziato, tormentone del reality L’Apprendista un tempo condotto da Trump. E a New York, in tanti hanno fatto il bagno nelle fontane approfittando della bella giornata. Mentre a Wilmington, la città dove Biden è arrivato nel 1952 dalla vicina Scranton al seguito del padre, in cerca di una nuova vita dopo essere stato licenziato, l’entusiasmo è tanto: ma più misurato.
«Go, go, Uncle Joe», cantano i suoi sostenitori, quando alle 11 del mattino la Cnn afferma per prima la sua vittoria: mettendo un punto all’estenuante attesa. A downtown si fanno caroselli con auto e bandiere. Dai palazzi è tutto uno scrosciare di applausi e grida festanti. In strada c’è perfino chi piange. Proprio come il conduttore afroamericano di Cnn Van Jones, mentre dice in diretta tv: «Da oggi sarà più facile dire ai miei figli: “la verità conta”. Chi è musulmano non dovrà più preoccuparsi di non essere voluto. Gli immigrati non dovranno più temere per i loro bambini. Troppe persone hanno sofferto. Mi dispiace per chi ha perso, ma è un buon giorno per il Paese».
Che l’annuncio fosse imminente s’era d’altronde capito fin dal primo mattino. Con lo staff della campagna presidenziale a dirti fra le righe che ormai è davvero questione di ore: «Ma se pure la notizia arriverà presto, nessuno parlerà fino a sera. Hanno aspettato con pazienza fin qui, senza spingere la conta per fugare ogni voce di brogli. Giustamente, vogliono godersi il loro grande momento in prime time». Sì, insomma, in prima serata tv. Eppure, quando la nomina è ufficializzata, in tarda mattinata, coglie di sorpresa un po’ tutti. Kamala è impegnata a far jogging costretta a fermarsi, scompigliata e sudata in campagna per chiamare al telefono il “boss”: «We did it», ce l’abbiamo fatta, «Sei il prossimo presidente degli Stati Uniti», gli dice commossa, nel video da lei stessa diffuso via Twitter. Intanto, la squadra di transizione guidata dall’ex senatore Ted Kaufman, si ferma a festeggiare solo un istante. E riprende poi subito il complicato lavoro avviato da giorni per ultimare i “background check” della lista di governo, che il nuovo presidente vuol presentare al più presto. Allo stesso tempo stanno organizzando il trasferimento di cariche e poteri: con buona pace del fatto che a guidare la squadra di transizione avversaria è Mark Meadows. Il capo dello staff appena ammalatosi, pure lui, di Covid.
Dopo quattro giorni incollato alla tv, Biden trascorre invece la giornata al telefono: ricordandosi però di cambiare lo status su Twitter: non più “candidato dem” ma “presidente eletto”. Dopo Kamala, chiama Barack Obama, l’ex presidente il cui aiuto è stato cruciale nei giorni finali: «Non potrei essere più fiero di te», gli dice. Poi, cinguetta: «A gennaio Joe e Kamala si misureranno con una straordinaria serie di sfide: la pandemia, un sistema giudiziario ed economico ineguale, la democrazia a rischio, il clima in pericolo. Tocca a ciascuno di noi aiutarli a ricucire le ferite di un Paese spezzato». Si congratula l’anziano Jimmy Carter, finora l’ultimo presidente ad aver vinto in Georgia: «Non vedo l’ora di assistere al cambiamento positivo». E arrivano pure le preghiere «per il vostro successo» dell’ex governatore della Florida e fratello dell’ex presidente George W. Bush, Jeb. «Le elezioni non sono finite», attaccava Trump soltanto ieri mattina. Dalla Casa Bianca, nessuna concessione, figuriamoci una telefonata.