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 2020  novembre 07 Sabato calendario

Trump rimarrà in politica?

Il futuro di Donald Trump è avvolto nel mistero. Il risultato elettorale è appeso agli ultimi conteggi dei voti, ma il presidente, in mancanza di sorprese-shock, appare in procinto di perdere. Una prospettiva che già moltiplica gli interrogativi sulla sua risposta. Anzitutto quella immediata: se davvero battuto, rifiuterà come sembra ogni “Concession Speech” – il discorso della sconfitta non obbligatorio e però tradizionale – insistendo nel denunciare presunti brogli per ribaltare l’esito e lacerando Paese e istituzioni? Ancora: nei prossimi mesi alla Casa Bianca, prima di un’eventuale inaugurazione di Joe Biden il 20 gennaio, ostacolerà o accetterà ordinate transizioni del potere?
I resoconti della sua rabbia, dietro le quinte e davanti alle telecamere, tengono Washington con il fiato sospeso. Ma gli interrogativi più pesanti, attorno a Trump, potrebbero riguardare il dopo. Un ritorno al business di famiglia, su scala internazionale. La necessità di saldare debiti per oltre un miliardo e districarsi da inchieste giudiziarie. Il lancio di un mini-impero mediatico, una Trump Tv per la quale suoi collaboratori da tempo trattano. E soprattutto, grandi e intatte ambizioni politiche.
La certezza è una: Trump, riscritte le norme dei comportamenti presidenziali, sarà impegnato a sovvertire le regole informali sul tramonto di presidenti in uscita, statisti supra-partes che lasciano spazio a rinnovi della leadership. Con ogni probabilità, vorrà rimanere “Kingmaker”, forza dominante nel partito repubblicano che ha cambiato a sua immagine e somiglianza. Liquidata la propria sconfitta alla stregua d’un furto, potrebbe anzi lui stesso coltivare una neo-candidatura nel 2024, a 78 anni, per la Casa Bianca. Non sono, tutti quelli citati, neppure scenari mutualmente esclusivi. La realtà è che Trump – e il Trumpismo – avrebbero i numeri perché si avverino.
La prima cifra da considerare è quella della base, che rivendica come sua. Non a torto: il partito era reduce, prima di Trump, da declini nel voto popolare. Trump quest’anno ha aumentato i voti ricevuti di 5 milioni rispetto al 2016 – circa 70 milioni, il 48% dell’elettorato – secondo candidato presidenziale più votato nella storia dietro a Biden. Tra i repubblicani mantiene un sostegno secondo a nessuno: il 93 per cento. I comizi di massa ignorando la pandemia hanno mostrato la presa del suo populismo conservatore, del marchio di America First, misto al carisma personale dell’outsider: tra ceti bianchi popolari senza laurea (64% dei consensi), evangelici, in aree rurali come in alcuni sobborghi e, nonostante polemiche su politiche razziste, tra fasce ispaniche (32%) e afroamericane (12%). Un messaggio eclettico, nato fuori dai think tank che avevano accompagnato Ronald Reagan o George W. Bush, e che ha combinato con efficacia preoccupazioni tipiche del partito (sgravi fiscali, tagli di regulation, nomina di magistrati conservatori) con atipiche ribellioni contro il libero mercato caratterizzate da protezionismo, guerre commerciali, rigide barriere all’immigrazione.
C’è di più: la presidenza Trump è stata criticata come improvvisata e imprevedibile, ma la macchina organizzativa dietro la sua ascesa, sul campo e digitale, è diventata formidabile. Ha costruito e controlla una banca dati senza pari. Ha una rete di finanziatori grandi e piccoli, con eserciti di contributi capillari. Nei social media vanta un seguito straordinario, 80 milioni su Twitter. Parte della sua base lo riverisce ormai come un messia – comprese correnti radicali e frange estremiste e suprematiste che è parso tollerare e a volte incoraggiare. QAnon, il movimento online che inveisce contro una cabala satanica e pedofila di liberal e burocrati del “Deep State”, ha incoronato Trump salvatore dei valori occidentali e eletto almeno un deputato.
Il takeover del partito sotto le bandiere di Trump, insomma, è difficile da sottovalutare: in quattro anni forse la metà dei repubblicani eletti è stata rimpiazzata. Uno dei neo-deputati, Marjorie Taylor Greene in Georgia, sarà il primo aperto sostenitore di QAnon al Congresso. L’ultima Convention repubblicana aveva anche rinunciato a una nuova piattaforma limitandosi a paragrafi di fedeltà a Trump.
I suoi resort golfistici, in un post-Casa Bianca, potrebbero così diventare meta di pellegrinaggio per repubblicani con sogni nazionali. Rese dei conti e rinnovamenti, nel dopo elezioni, rimangono tutti da vedere nel partito, anche in caso di sconfitta. C’è chi ammonisce che un Grand Old Party legato a Trump sia destinato all’irrilevanza. Altri credono nella sua formula: i figli del presidente hanno invocato sostegno al padre contro brogli senza prove e hanno trovato discepoli, dal senatore Ted Cruz all’ex ambasciatore all’Onu Nikki Haley. La stessa resistenza a cedere le armi trova una spiegazione nella volontà di Trump di preservare l’immagine di outsider. Di scrivere nuovi capitoli nella saga che l’ha trasformato da stella dell’immobiliare e di reality show a leader.