la Repubblica, 7 novembre 2020
Concerto per piante e violoncello
Una pianta sa ascoltare un brano musicale ed esprimere piacere. Si può descrivere la struttura di un albero come la forma di una composizione di Bach. Una nota diviene un fiore che può sbocciare o appassire grazie a un ventaglio di stimoli sonori. Natura e musica si abbracciano, inducono certi edifici a germogliare e si riflettono nei rispettivi sistemi. Rappresentano una danza condivisa e una fonte di bellezza dotata di un’inesauribile facoltà di stupirci.
A percorrerne gli intrecci ci ha condotto ieri sera un incontro- concerto animato da due interlocutori illustri: il violoncellista Mario Brunello e il botanico Stefano Mancuso. L’uno è noto per essere uno dei migliori interpreti al mondo della musica di Bach (e non soltanto). L’altro è uno scienziato di prestigio altrettanto mondiale che si occupa di arboricoltura e di etologia vegetale. La neurobiologia delle piante è al centro dei suoi interessi e degli studi portati avanti dal laboratorio internazionale che dirige. Tanto Mancuso è appassionato di musica («è un cultore di quest’arte, e con lui ho sempre parlato a lungo delle affinità che uniscono i nostri campi», spiega il violoncelli-sta), quanto Brunello è un avventuroso «naturista» della musica, che ama far risuonare nei boschi e sulle cime delle montagne. Perciò si sono attratti come calamite.
Il dialogo fra Brunello e Mancuso, alternato a interventi musicali, è avvenuto in diretta streaming dalle Officine Giovani di Prato nell’ambito del programma di Recò, festival dell’economia circolare (6-8 novembre), che nelle attuali circostanze si svolge in formato digitale. È stato il festival toscano a produrre il particolare evento, intitolato Un albero, una ciaccona. Parallelismo e proporzione in Natura e in Bach, e destinato a una selva di piante, uniche presenze organiche nella platea della serata. Piante da considerare a tutti gli effetti spettatori non solo sensibili, sostiene Mancuso, ma pure esigenti: «In passato, tramite esperimenti, controllando la crescita di radici in rapporto a specifiche sorgenti sonore, abbiamo scoperto che le piante percepiscono bene alcune frequenze sonore e dimostrano persino preferenze spiccate ». Come protagonista dell’indagine musical-vegetale è stata scelto l’ultimo movimento della Seconda Partita in re minore per violino solo di Bach, chiamato appunto “ciaccona”. «L’ho proposta a Mancuso perché conta su un’architettura basata sulla variazione che si costruisce pian piano su sé stessa, come una pianta», segnala Brunello, «e possiede una vita e un respiro analoghi a quelli di un albero». Il suo punto di partenza, specifica, è la profonda naturalità dei lavori di Bach: «Spesso si definisce la sua musica come una specie di oggetto matematico, pieno di aspetti rigidi e freddi. A me invece piace cercarvi dentro la natura, e ne trovo moltissima».
Mancuso confessa di «trafficare da tempo e volentieri con ambiti diversi dai miei per divulgare cosa sono gli alberi, motore prioritario della vita sulla Terra. Ho collaborato con artisti contemporanei e musicisti pop e rock, ma questo è il mio primo progetto fondato sull’intesa con un musicista classico. L’arte riesce a veicolare con immediatezza messaggi fondamentali», e il suo esempio preferito di messaggio concerne l’imprescindibile importanza delle piante per l’esistenza: «Se le persone capissero davvero come funzionano e a che cosa servono, l’umanità risolverebbe questioni immense come il riscaldamento globale e l’esaurimento delle risorse», afferma. «L’uomo è convinto di essere quanto di meglio ci sia fra i viventi, il che si ripercuote sul suo approccio predatorio alla natura, dove crediamo che tutto sia fatto solo per essere utilizzato degli umani. Ciò ha modificato in modo decisivo le sorti del pianeta. In realtà noi animali dipendiamo completamente dai vegetali, nel senso che la vita sulla Terra non sarebbe possibile senza, altrimenti saremmo Marte».
Se l’albero è la chiave della vita, Bach può raccontarci la vicenda e la fisionomia di un albero, osserva Brunello, perché «anche la ciaccona ha radici ben piantate nel passato, in forma di un basso di danza che si ripete, e in questo caso rispetta le quattro note discendenti del lamento. Questo non lo ha inventato Bach, ma proviene dalla natura stessa dell’evoluzione musicale.
Il tronco nasce dalle radici, ed è una struttura portante basata sulla tonalità di re minore da cui prendono avvio le variazioni raggruppate in tre parti che corrispondono ai rami principali della ciaccona: in re minore, in re maggiore e ancora in re minore. Oltre a queste tre modulazioni, ci sono rami secondari e foglie».
Prosegue Brunello: «La composizione si rinnova di continuo ora nella linea melodico-polifonica, ora in quella armonica e ora nelle figure ritmiche, o in più d’una di queste componenti messe insieme. Accade senza che la struttura deroghi dallo schema iniziale di otto battute, che obbliga lo strumento a rientrare nella tonalità di re all’inizio di ogni variazione, con la regolarità imposta dalla forma di “ostinato” tipica della ciaccona. Ci sono insomma norme da esaminare e cogliere nello sviluppo del pezzo. È come quando in una pianta si tratta di capire perché cresce bene in un certo modo, e come mai, se colpita dalla luce, deve compensare con una parte in ombra che la riequilibra». «Sono regole somiglianti a quelle che governano la statura e l’organizzazione degli alberi», avverte Mancuso. «Nella ciaccona c’è uno scheletro nascosto senza il quale il brano non reggerebbe, paragonabile al ruolo delle radici negli alberi, che è enorme: la quantità della massa sotterranea è pari a quella esterna. È come se al di sotto ci fosse un altro albero rovesciato».
Brunello ha suonato la ciaccona, che è un brano per violino, con il violoncello piccolo, a cui in tempi recenti ha già affidato l’esecuzione di altri pezzi, come le Sonate e Partite di Bach presentate a Roma per Santa Cecilia e registrate: «Fare opere per violino solo di Bach col violoncello piccolo non è una trasposizione, ma una lettura quasi allo specchio vista dal basso. La realizzo in un modo che si lega alla prassi dell’epoca, in cui le composizioni erano destinate a più di uno strumento. Si tratta di un approccio naturale ai due linguaggi. Il violino sembra volare in alto, perché quando l’interprete si avvicina alle corde incontra per prima quella più acuta, mentre con il violoncello incontra la più grave. Io parto dal basso senza cercare di rincorrere le potenzialità virtuosistiche del violino. La montagna è sempre la stessa, sia che si salga dal versante nord che da quello sud».