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 2020  novembre 07 Sabato calendario

L’era delle redazioni ibride

Su come saranno i giornali del futuro il dibattito è aperto, ma una cosa sembra certa: avranno «redazioni ibride». È la previsione di un rapporto del Reuters Institute for the Study of Journalism, il prestigioso centro di ricerca sullo studio del giornalismo presso l’università di Oxford: un sondaggio internazionale sulle conseguenze della pandemia per il settore dell’informazione, condotto il mese scorso tra 136 testate medio-grandi in 38 paesi.
I media di tutto il mondo si sono adattati al Covid abbracciando lo smart working, talvolta al punto di confezionare un giornale di carta e digitale, per evitare il rischio di contagi, con l’intera redazione al lavoro da casa, come ha fatto anche Repubblica per qualche giorno. Le innovazioni adottate per affrontare il coronavirus, afferma l’indagine, tuttavia resteranno anche una volta passata la tempesta: le redazioni diventeranno permanentemente ibride, con una parte dei giornalisti che lavora in ufficio, una che lavora da casa e una in giro a raccogliere notizie. Avendo bisogno di meno spazio, le sedi dei giornali si restringeranno, con un risparmio sui costi.
Intitolato “Changing Newsrooms 2020”, il rapporto indica anche altre conseguenze, positive e negative, del lavoro giornalistico al tempo della pandemia. Una è che la produzione del giornale in remoto, parziale o totale, ha reso le organizzazioni giornalistiche «più efficienti»: così sostiene il 55 per cento degli interpellati, generalmente direttori, redattori capi o amministratori delegati di quotidiani.
Un’altra, di segno opposto, è la preoccupazione che il lavoro da casa abbia «un impatto sulla creatività» e sul lavoro di squadra: il 77 per cento ammette che è più difficile mantenere rapporti e comunicare, oltre ai timori sulla salute mentale dei dipendenti. Ciononostante, quasi metà (il 48 per cento) dei partecipanti all’inchiesta dice che le proprie aziende stanno progettando di ridurre le dimensioni degli uffici, come del resto sta avvenendo anche in altri settori passati allo smart working, come banche e studi legali.
Il diffuso utilizzo di Zoom, Microsoft Teams e altre piattaforme online ha dimostrato che è possibile fare riunioni, condurre interviste, impaginare il giornale, cartaceo o sul web, senza trovarsi fisicamente in redazione, nota lo studio, redatto da Federica Cherubini, Nic Newman e Rasmus Nielsen. Il lavoro remoto ha portato evidenti vantaggi, commentano alcune delle risposte: i giornalisti risparmiamo il tempo che si perde ad andare in redazione e tornare a casa, possono organizzarsi più facilmente per altri impegni come occuparsi dei figli. Molti vedono i problemi creati dalla pandemia, che costringono a cambiare abitudini consolidate, come «un’opportunità per reinventare il lavoro giornalistico e accelerare processi trasformativi già in atto», spingendo la professione verso una «indispensabile modernizzazione e digitalizzazione». Il giornalismo in smart working, dice un direttore, «è un bene per un miglior uso del tempo, un bene per l’equilibrio con i compiti domestici e un bene per il cambiamento climatico», riducendo le emissioni nocive.
La maggiore flessibilità gioca un ruolo pure sulla ricerca del personale: quando non c’è l’obbligo di presenza in ufficio si allarga il campo in cui trovare nuovi talenti. Tutto ciò si riflette in un dato significativo: tre quarti dei giornalisti che hanno risposto al sondaggio non vorrebbero tornare a lavorare come prima della pandemia. Il 21 per cento preferirebbe andare in redazione solo ogni tanto, il 54 per cento un po’ meno di prima. Ma c’è anche un lato oscuro. «I giornalisti hanno bisogno di vicinanza fisica per discutere idee, condividere esperienze e innovare», osserva uno. «Lavorare in modo efficiente in remoto è possibile per chi si conosce già bene», meno per l’ultimo arrivato o per chi è nuovo del mestiere, aggiunge un altro. Allo smart working giornalistico «mancano quelle conversazioni casuali che talvolta sviluppano grandi idee, senza contare che nelle riunioni online la gente dopo un po’ si stanca e si distrae facilmente», afferma un terzo. Non ci sono «il cameratismo, l’umorismo, la spontaneità, il contatto umano istantaneo», parti essenziali della vita in un giornale, è un altro parere ancora raccolto dal rapporto. Sebbene questo possa dipendere almeno in parte dall’età: avere relazioni digitali è più semplice e normale per i giovani cresciuti nell’era del web.
Un ulteriore problema notato dallo studio, non certo limitato ai giornali, è che lavorare in remoto può creare solitudine, esaurimento per le troppe video conferenze e offuscare il confine tra lavoro e vita privata, specie per chi non dispone di uno spazio adeguato a casa e deve magari lavorare in una stanza adibita anche ad altri usi.
I cambiamenti introdotti dalla pandemia non porteranno «alla fine del lavoro d’ufficio nei giornali», conclude il rapporto, ma causeranno un’accelerazione verso «redazioni ibride». Affinché questa transizione abbia successo occorre «uno sforzo più consapevole e attivo» da parte di direzione, responsabili di settore e management: per «comunicare di più, in modo da tenere tutti informati, mantenere un senso di coesione organizzativa e di squadra, garantire che vengano ascoltate le voci di tutti e identificare i colleghi che hanno bisogno di sostegno».