la Repubblica, 7 novembre 2020
Va di moda l’usato
Eravamo certi che il simbolo della moda nel 2020 sarebbe stata la mascherina, e invece no: ad aggiudicarsi il primato non è tanto un capo, quanto un modo di fare acquisti. Non ci sono dubbi: questo è l’anno del resale, vale a dire del mercato di seconda mano. Lo dicono le cifre: nel 2019 il settore valeva 7 miliardi di dollari, nel 2024 dovrebbe arrivare a 36 miliardi. E, visto che solo a settembre le ricerche online a tema sono cresciute del 104 per cento (dati Lyst), la previsione pare attendibile. Nonostante la pandemia, il reselling va forte ovunque, da eBay alle piattaforme dedicate tipo Vestiaire Collective; funziona con le app da giovani alla Depop e con gli e-store più di nicchia e ricercati come il francese Re-See. Anzi, va così bene che è diventato una tendenza a sé stante: Zara ha lanciato una linea di capi ripresi dagli anni passati, Cos (di proprietà del gruppo H&M) ha aperto una sezione per la rivendita tra privati, Levi’s e Tommy Hilfiger hanno avviato un programma di riacquisto e ripresa dei propri vecchi pezzi.
Una corsa inarrestabile, tanto che diversi brand di lusso, categoria di solito avversa alla pratica (ragione ufficiale: i troppi falsi in circolazione; ragione ufficiosa: i prezzi assai più bassi rispetto a quelli delle collezioni in negozio), hanno avviato collaborazioni a tema: di recente, per esempio, Burberry e Gucci si sono alleati con la piattaforma americana The RealReal. Hermès invece non prende posizione: scelta comprensibile visto che le borse della maison francese con gli anni acquistano valore, nuove o usate che siano. Prova ne è il sito Privé Porter, dedicato alla rivendita di borse del brand: lo scontrino medio è di 68 mila dollari, e i clienti aumentano.
E di pari passo cresce l’interesse dei media: nelle scorse settimane è stato presentato il primo numero di Display Copy, patinata rivista semestrale interamente dedicata alla moda di seconda mano. Ovvio che l’intento di un prodotto del genere non sia commerciale, ma i margini per far fruttare l’idea a questo punto ci sono, è evidente. Tanto evidente che pure Kim Kardashian – che spesso sui red carpet indossa abiti del passato – e famiglia si sono buttati nella mischia con Kardashian Kloset, sito dedicato alla rivendita dei loro guardaroba. Mossa intelligente, peccato le critiche di alcuni brand, infuriatisi quando hanno scoperto che molti dei pezzi offerti, ancora con l’etichetta, erano quelli da loro inviati in omaggio alle star.
Appurata la portata del fenomeno, resta da capire perché sia esploso proprio adesso. «Sicuramente il lockdown ha instillato un nuovo senso di responsabilità nei consumatori», riflette Sofia Bernardin, fondatrice con Sabrina Marshall di Re-See. «Una responsabilità finanziaria, perché al momento nessuno ha voglia di spendere troppo, e ambientale, tema molto sentito dai più giovani. Oggi vestirsi solo con i pezzi più nuovi non va più di moda: il vero status symbol adesso è ridurre gli sprechi riutilizzando ciò che già esiste». La voglia di consumare meno e di risparmiare sono alla base di tutto, ma a dare man forte ci hanno pensato anche i brand: nelle ultime stagioni molti di loro sono tornati alle proprie radici, riproponendo in chiave attuale pezzi simbolo del loro passato. Lo sta facendo Dior con borse come la LadyDior e la Sella, nate rispettivamente negli anni 90 e nel 2000, Gucci con la borsa Jackie degli anni 60, Prada con il suo nylon nero simbolo del minimalismo anni 90; il risultato è che le versioni originali sono diventate ambitissime sulla piazza del reselling. In altre parole, sono stati proprio loro a indirizzare la scelta dei consumatori verso quel mercato. «I designer hanno capito che ora conviene insistere sulla propria identità; con loro lo ha capito anche il pubblico, che perciò va alla ricerca dei modelli “iniziali"», conferma Cecilia Di Lorenzo di 20134 Lambrate Vintage e Madame Pauline, boutique milanesi di riferimento per questo universo. «Senza dimenticare poi che così si è corretti nei confronti dell’ambiente, si risparmiano cifre sostanziose, si è alla moda e ci si distingue dalla massa: ovvio che attiri tanto».
«Il vintage – o reselling che dir si voglia – oggi ha poco a che fare con quello del passato, delle boutique polverose e dei musei», conferma Sofia Bernardin. «Quello che vendiamo è pensato per essere indossato subito, e per durare a lungo». Non a caso i nomi più cercati su Re-See sono i classici: Hermès, Chanel, Yves Saint Laurent degli anni 70, Prada, il Céline disegnato da Phoebe Philo. Esattamente quello che si vede sulle passerelle e nei negozi. Paradossale ma vero: il passato oggi per funzionare deve essere al passo coi tempi.