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 2020  novembre 07 Sabato calendario

L’Anatra Ferita e l’incubo dei due presidenti

Una “anatra zoppa”, un presidente eletto ma non legittimato a governare, contro una “anatra ferita”, un presidente sconfitto, ma pronto a dare di matto per non lasciare la Casa Bianca. È questo lo scenario da incubo, non solo per gli Stati Uniti ma per il mondo, che si può delineare se Trump rifiuta di concedere la vittoria a Biden e porta avanti i ricorsi legali fino alle estreme conseguenze.
Qualche osservatore ha perfino provato a immaginare che Trump si barrichi fisicamente dentro la Casa Bianca fino al giorno dell’inaugurazione, il 20 gennaio, e sia l’esercito a doverlo scortare a forza fuori dall’Ufficio Ovale. Ma il generale Mark Milley, il più alto in grado nella gerarchia militare americana, ha già fatto chiaramente capire che le forze armate non vogliono immischiarsi. Si è scusato in estate per essere apparso in tuta mimetica accanto al presidente, quanto furono fatti sgombrare con la forza i dimostranti davanti alla Casa Bianca. E, a quanto risulta, ha scoraggiato Trump dall’invocare l’Insurrection Act, che risale al 1807, per mandare i soldati nelle strade contro i manifestanti.
Allora, se non sarà l’esercito con le cattive a far uscire Trump dall’ufficio presidenziale, chi potrebbe farlo con le buone? Nel 2000, quando ci fu la disputa sul voto in Florida, fu la Corte Suprema a decidere di fermare la riconta dei voti. E Al Gore, lo sfidante di George W. Bush, decise di non ricorrere al Congresso e accettò la sconfitta. Ma, rispetto a quella che si sta delineando oggi, quella di vent’anni fa era un disputa tra educande.
Secondo Edward Foley, un professore dell’Ohio State University che ha dedicato studi approfonditi alla vulnerabilità del sistema elettorale, entrambe le parti hanno presentato queste elezioni come “un test esistenziale” per il Paese ed era quindi improbabile che fossero disposte a concedere la vittoria all’altra, specie se lo sconfitto fosse stato Trump. È quello che sta accadendo e sta portando l’America verso quello che Paul Krugman ha definito il rischio di “uno Stato fallito”.
L’ultima, e unica volta, in cui si arrivò alla vigilia dell’Inauguration Day senza un presidente riconosciuto come legittimo fu nel 1876, l’anno in cui il repubblicano Rutheford Hayes sconfisse, grazie a un compromesso dell’ultima ora, il democratico Samuel Tilden. Undici anni dopo, nel 1887, fu approvato l’Electoral Count Act per evitare che uno stallo simile si ripetesse. Ma anche se le tappe del processo elettorale sono rimaste quelle di due secoli fa, con un intervallo tra il giorno del voto e quello dell’inaugurazione concepito ai tempi delle diligenze ma totalmente incongruo per il tempo di Internet, è improbabile che i partiti di oggi si adeguino a una normativa di 133 anni fa. Che fissa l’8 dicembre come termine ultimo per la risoluzione delle dispute.
Se, però, lo sconfitto non riconosce la vittoria all’avversario si rischia di andare ben oltre quella data. Solo la ragionevolezza, dicono i più esperti osservatori di cose americane, può fermare la corsa verso un baratro politico e istituzionale. Ma chi può avere la forza di far ragionare la “anatra ferita”, i cui numeri elettorali permettono di vantarsi di aver superato se stesso nel voto popolare rispetto a quattro anni fa e di essere il secondo candidato più votato nella storia delle presidenziali americane (anzi, il primo nella sua ottica che considera “truccati” i voti di Biden)? Specie in un partito repubblicano che, a giudicare dai nuovi eletti in questa tornata elettorale, sembra, come ha scritto Edward Luce, “più trumpiano di Trump”.
Oggi nulla si può escludere. Perfino, nello scenario più estremo, che si arrivi al 20 gennaio senza un presidente riconosciuto e che si debba ricorrere a un presidente ad interim per “gestire l’ordinaria amministrazione": in un Paese che è la più grande potenza militare, e nucleare, del mondo.Secondo la legge di successione, sarebbe Nancy Pelosi, Speaker della Camera. La quale, essendo democratica, potrebbe non essere accettata dai repubblicani e Trump potrebbe restare asserragliato alla Casa Bianca senza che nessuno possa mettergli una camicia di forza per portarlo fuori di peso.
C’è da augurarsi, per la più grande democrazia del mondo e per l’intero pianeta, che questo scenario non si realizzi. E che si trovi una via per evitare l’incubo istituzionale. Ma, comunque vada, due cose sono certe. La prima è che la transizione di undici settimane, dalle elezioni al giuramento del presidente, sarà tra le più turbulente della storia moderna e che difficilmente ci sarà cooperazione nel passaggio delle consegne come vorrebbe il galateo istituzionale. La seconda è che, anche se Biden sarà riconosciuto presidente entro i termini di questa transizione, il fantasma di Donald Trump continuerà a volteggiare a lungo sulla Casa Bianca e sui palazzi del potere della capitale americana.