Corriere della Sera, 6 novembre 2020
I troppi proclami dei magistrati
Adesso che a Ragusa (caduta già a Catania l’associazione a delinquere) è arrivato l’ennesimo proscioglimento di una Ong – stavolta dei comandanti Open Arms dalle accuse di violenza privata al Viminale (fatto non sussiste) e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (non punibile per stato di necessità) nei soccorsi a 218 persone al largo della Libia nel marzo 2018 – viene da chiedersi dove siano silenti alcuni «tipi d’autore». Quelli che in politica assicuravano spavaldi di avere «le evidenze» dei rapporti tra Ong e scafisti (e pazienza se negli atti poi non le si vedeva). E quelli che in toga, anziché limitarsi a istruire i processi così come ritenevano, per sovrappiù arabescavano teorizzazioni sganciate dai fatti, ma sfolgoranti dell’autorevolezza del ruolo di chi le prospettava in dichiarazioni, audizioni e persino roboanti comunicati stampa (come proprio nel sequestro della Open Arms: «L’intervento della Procura distrettuale si inscrive nell’attività più ampia intrapresa da anni da questo Ufficio per contrastare il traffico di disperati... Questo Ufficio rivendica con orgoglio l’elaborazione di interpretazioni giuridiche e modelli organizzativi recepiti da Cassazione e Direzione Nazionale Antimafia... Questa Procura distrettuale non intende sottrarsi all’obbligo di far rispettare le norme»).
E, del resto, magistrati baciati dall’audience non sono poi andati a ripetere (manco fosse già Cassazione) che le Covid-rivolte di marzo nelle carceri fossero state teleguidate in tutta Italia dalla mafia per piegare a una nuova «trattativa» lo Stato? Dopo 8 mesi nessuna inchiesta sinora l’attesta, al di là delle consuete logiche di cella tra capetti, gregari e parenti. E il carcere, sempre stando alle ironie di toghe da ribalta, non doveva essere il posto più sicuro dal Covid? Al 3 novembre la nuova ondata già raddoppia (395 detenuti e 424 agenti) i contagi di 7 giorni fa, intuitivo in posti chiusi (come gli ospizi) nei quali con 54.894 detenuti in 47.187 posti il distanziamento è un miraggio.
Ora in tutti questi casi il punto non è che le indagini sulle Ong siano finite con proscioglimenti, o che la realtà carceraria stia consigliando minore sbrigatività d’analisi. Il punto è che la patologia di questo modo di filosofeggiare non venga riconosciuta prima che la sua «benzina», e cioè la pseudo-attendibilità che il singolo infondato messaggio trae dalla credibilità del ruolo istituzionale di chi lo lancia, finisca per corrodere proprio l’autorevolezza del ruolo istituzionale, a forza di così strapparlo.