Corriere della Sera, 6 novembre 2020
Valerie e Jill, gli scudi di Joe Biden
Il 18 dicembre 1972 Valerie Biden era in un ufficio del Congresso di Washington con il fratello a esaminare pile di curriculum. Joe aveva appena vinto contro ogni pronostico, a trent’anni non ancora compiuti, la corsa per un seggio senatoriale in Delaware, diventando da un giorno all’altro la giovane promessa del Partito democratico. Tutti volevano lavorare con lui.
«Ricevetti una telefonata da Jimmy (l’ultimo dei quattro fratelli Biden) – racconta Valerie –. Mi disse: “tornate subito a casa, c’è stato un incidente”». L’auto della moglie di Biden, Neilia, che era uscita a comprare l’albero di Natale con i tre figli – la piccola Naomi, un anno, Beau, tre, e Hunter, due – era stata travolta da un camion: solo Beau e Hunter erano sopravvissuti.
Valerie – Val, la chiamano i suoi – era sempre stata accanto al fratello maggiore, per esempio incoraggiandolo mentre si esercitava a recitare allo specchio le poesie di Yeats per battere la balbuzie. Le sembrò naturale sistemarsi da lui con il marito e aiutarlo a crescere i bambini. «Eravamo già una famiglia molto unita – racconterà Beau Biden, che sarebbe poi morto tragicamente di cancro a 46 anni nel 2015 – lo diventammo ancora di più. In gran parte fu merito di mia zia».
Nel 1976 la vita di Joe cambiò di nuovo. Accettando un appuntamento al buio organizzatogli dall’altro fratello Biden, Frank, bussò alla porta di Jill Jacobs, papà di origini italiane, nove anni più giovane di lui, già sposata e divorziata, all’ultimo anno di college. «Uscivo con ragazzi in jeans, zoccoli e t-shirt, lui si presentò in giacca sportiva e mocassini e pensai: non funzionerà mai», ha raccontato Jill a Vogue nel 2010. E invece funzionò subito. «Mi ha ridato la vita. Mi ha fatto cominciare a pensare che la mia famiglia sarebbe potuta essere di nuovo completa», dice di lei Biden. Dovette però chiederle cinque volte di sposarla, prima dell’agognato sì: «Nel frattempo avevo conosciuto i bambini, ero pazza di loro. Avevano già perso la madre, non potevano perderne un’altra. Dovevo essere sicura al 100 per cento». Il matrimonio si celebrò il 17 giugno 1977 con Beau e Hunter sull’altare con gli sposi. Nel 1981 nacque Ashley e Jill, che intanto aveva completato anche il dottorato, lasciò l’insegnamento per due anni e mezzo. Dopo quella pausa non ha mai più smesso, neanche quando Biden è stato eletto vicepresidente. Amante delle maratone, sorridente, scherzosa, è uno scudo per il marito. Letteralmente, come nel video, circolato molto in rete, in cui la si vede allontanarlo dai giornalisti assicurandosi che rispetti il distanziamento sociale; o come quando, assieme proprio a Valerie, con un incredibile scatto ha placcato due donne che protestavano contro di lui in un comizio a Los Angeles.
Ma Jill non ha mai avuto un ruolo ufficiale nelle sue campagne. A differenza di Valerie, che le ha gestite (quasi) tutte, compresa quella sfortunata del 1988, finita male per le accuse di plagio (Biden aveva copiato brani dei discorsi del leader laburista britannico Neil Kinnock). «Col senno di poi penso sia stata una benedizione perché se fosse rimasto in corsa sarebbe probabilmente morto – ha raccontato lei facendo riferimento al doppio aneurisma che colpì Biden quell’anno —. Si sarebbe sentito male in Iowa, e non avrebbe potuto avere le cure eccellenti che ha avuto a Washington». Durante la convalescenza Jill fu inflessibile nel proteggerlo vietandogli lavoro e telefonate, comprese le due dell’allora presidente Ronald Reagan.
Biden riproverà a correre per la presidenza nel 2008, ma troverà sulla sua strada un certo Barack Obama. Lo stesso Obama che poi lo ha scelto come vice e gli ha tirato la volata negli ultimi giorni di questa campagna 2020. Una campagna che per la prima volta non è stata Valerie a dirigere. Non ufficialmente almeno, perché lei c’è sempre. «Dov’è Val?», chiede Joe smarrito quando non la vede. Da sorella protettiva, Valerie non era convinta della scelta di Kamala, perché ancora offesa per come la senatrice aveva attaccato Joe durante le primarie democratiche. C’è voluto un pranzo a tre, per saldare l’accordo. Ha sempre viaggiato con il candidato, era nella stanza quando si preparava ai dibattiti, ha approvato i suoi spot, ha riguardato tutti i discorsi. «Qualcuno dice che è capace di completare le mie frasi – dice Biden – La verità è che ha scritto le mie frasi migliori. Non solo ha creduto in me, ma mi ha aiutato a credere in me stesso».