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 2020  novembre 06 Venerdì calendario

Il Pallone d’oro? Io lo avrei dato a Lewandowski

Nella scorsa stagione Robert Lewandowski ha segnato 34 gol in campionato, 15 in Champions League e 6 in coppa di Germania. Più che da centravanti, sono cifre da fucile automatico. Il suo Bayern ha vinto tutte e tre le competizioni, e delle prime due Robert è ovviamente stato il capocannoniere, con una media-gol in Bundesliga di 1,09 a partita (34 in 31 gare). Ciro Immobile, per intenderci, ha vinto la Scarpa d’oro perché il regolamento premia chi segna di più in totale (36 reti in 37 presenze), ma quanto a media stava leggermente dietro a 0,97. Insomma, se il 2020 fosse stato un anno come gli altri, in questi giorni avrei spedito una mail a France Football indicando Lewandowski in cima alla mia lista di preferenze per il Pallone d’oro. La gran parte degli altri 169 giornalisti – rigorosamente uno per Paese – che compongono la giuria internazionale del premio avrebbe fatto lo stesso, e il centravanti polacco del Bayern sarebbe certamente stato il vincitore, al di là delle sacche di resistenza delle brigate Messi&Ronaldo, quelli che votano sempre e comunque il loro fuoriclasse preferito a prescindere dai risultati ottenuti nei dodici mesi (che sarebbe il primo criterio di scelta).Siccome il 2020, invece, è stato quello che è stato, fin da primavera il settimanale francese che organizza il Pallone d’oro ha annunciato che quest’anno il premio è annullato. Tornerà nel 2021, nel frattempo ci hanno fatto votare la formazione ideale di ogni epoca: un giochino divertente, perché scegliere tra Maradona, Pelé, Di Stefano, Rivera e Zidane fa passare la serata, ma non è la stessa cosa. Il Pallone d’oro è l’unico trofeo per il quale i giocatori non soltanto non chiedono ingaggi per farsi premiare, ma sarebbero disposti ad andare a piedi a Parigi pur di riceverlo.
La rinuncia di France Football è stata frettolosa, presa sull’onda emotiva della cancellazione della Ligue 1 e degli Europei che, nel primo lockdown, sembravano l’anteprima di una chiusura generalizzata che invece non ci fu. Il calcio ha portato a termine quasi ovunque la vecchia stagione e ha iniziato senza astensioni la nuova: possiamo discutere allo sfinimento quanto sia alterato dai protocolli e soprattutto dall’assenza del pubblico, ma ciò non toglie che lo sforzo dei giocatori sia quello di sempre, se non superiore, e dunque meritino di essere raccontati, valutati, al caso anche premiati. Lewandowski ha 32 anni, e a giudicare dai primi due mesi di partite nel 2021 promette di ripetersi: ma se non dovesse succedere, o se l’Europeo dovesse imporre forti candidati alternativi, il fatto di chiudere la carriera senza un Pallone d’oro sarebbe per lui un vulnus, perché nel 2020 gli spettava di diritto.
Nel calcio nuovo della “partenza dal basso”, quello che attira il pressing alto per eluderlo e attaccare una difesa fuori equilibrio, l’attaccante è diventato ancora più importante: che sia la punta della squadra ripartita bene o quella che intercetta il sempre pericoloso riavvio dell’azione, le occasioni che ha di segnare sono molto cresciute. Un centravanti implacabile come Lewandowski è esattamente ciò di cui ha bisogno il Bayern per concretizzare la mole di gioco nella quale, se vogliamo, uomini come Müller o Kimmich (per tacere del mitico Davies di agosto) hanno un’incidenza maggiore. Ma il gol resta la parte più difficile del lavoro, e dunque avrei premiato Lewandowski pur rilevando come il suo contributo nelle gare-chiave sia stato aggiuntivo e non decisivo. Nella Final 8 di Lisbona ha segnato il 6-2 al Barcellona (quarto) e il 3-0 al Lione (semifinale). I gol pesanti li hanno realizzati Müller, Gnabry e ovviamente Coman in finale.
Qualche giorno fa Massimo Gramellini, che ha un solido passato da giornalista sportivo, si è espresso sul Corriere della Sera in favore di un Pallone d’oro a Zlatan Ibrahimovic. Il senso del suo intervento era celebrativo nei confronti di un fuoriclasse che a 39 anni continua a risolvere le partite di un campionato di prima fascia come la Serie A: ma se è pleonastico ricordare che il 2020 di Zlatan non ha la dimensione europea necessaria per ambire al riconoscimento, non è sbagliato sottolineare quanto sarebbe sensata l’idea di un Pallone d’oro alla carriera. Il decennio di Messi&Ronaldo, infatti, ha vietato l’albo d’oro a una serie di campioni che a non vederli lì piange il cuore: oltre a Ibra cito Iniesta, Xavi, Neymar, De Bruyne, Ribéry, e certamente ne dimentico altri. Una generazione perduta sull’altare di due alieni premiati sempre e comunque, anche quando il campo aveva detto altro: per esempio l’anno scorso Messi ricevette il sesto trofeo precedendo il formidabile Van Dijk, uno che aveva guidato il Liverpool alla memorabile rimonta proprio sul Barcellona in semifinale di Champions.
Ho l’onore di votare per il Pallone d’oro dal 2010. La modalità consiste nella scelta di cinque uomini da indicare nell’ordine, all’interno di una lista di 30 campioni preselezionati da France Football. Quest’anno non è stata stilata, ma avrebbe certamente contenuto anche i miei piazzati. Dietro a Lewandowski, che è anche un omaggio al Bayern, avrei scelto Momo Salah, a sua volta omaggio a un Liverpool capace di vincere per la prima volta la Premier League. Quella del terzo è invece una scelta molto individuale, perché dopo gli anni passati nell’ombra ad aiutare Cristiano Ronaldo a eccellere, Karim Benzema ha saputo caricarsi sulle spalle il Real Madrid portandolo a vincere la Liga malgrado un mercato sbagliato in modo catastrofico. Giù dal podio Neymar, bravo ma non abbastanza nella grande caccia del Psg alla Champions, quinto un giovane: dicono che Erling Haaland sia stato concepito in uno spogliatoio, e a vederlo devastare in quel modo le aree avversarie a soli 20 anni vien da pensare che sia vero. Il prossimo decennio sarà suo e di Mbappé.