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 2020  novembre 06 Venerdì calendario

Artissima sfida il tabù e mette il cartellino del prezzo

La fiera che non si può più chiamare così chiude nel giorno in cui dovrebbe aprire e mentre tutto intorno ad Artissima diventa confuso lei si fa più concreta.
Si è sparpagliata per le tre sedi di Fondazione Musei Torino (Gam, Palazzo Madama e Mao) con il titolo «Unplugged» per diventare acustica, intima, a prova di assembramento e tutto questo faticoso restyling giusto per andare a sbattere contro il decreto che chiude le porte a tutte le mostre. Però c’è, pronta, già estesa fino al 9 gennaio e tentata di rimandare la data di scadenza per resistere e farsi notare con una novità destinata a intaccare le abitudini: il prezzo.
In attesa di una vera inaugurazione, il catalogo di Artissima è on line (con le visite guidate) ed è la prima volta in Italia in cui la cultura decide di dire quanto vale e quanto costa.
Contrattare è da secoli un verbo legato alle gallerie dove i mercanti d’arte hanno mantenuto questo nome antico proprio perché l’abilità di sedurre il cliente, coinvolgerlo, coccolarlo, intrigarlo, capire gusti e tentazioni è parte del mestiere. Attaccare una cifra a un’opera sembra da sempre riduttivo e persino volgare, chissà perché ci si è convinti che staccare la creatività dai soldi che servono per portarsela a casa nobiliti il pezzo. Ora la distanza impone un cambio di rotta. Non viene spontaneo chiedere quanto costa davanti a un quadro e meno se ne sa più ci sente in difficoltà, fuori dalla cerchia e non certo invitati a informarsi. Artissima suggerisce ai galleristi di essere espliciti e molti lo sono anche se chi porta i nomi più famosi non osa. I 160 lavori esposti vanno dai 1500 euro della cartolina di Ruth Proctor «I’m neither here nor there», ai quasi 400 mila euro (senza Iva) di un gruppo selezionato di artisti, tre o quattro non di più. Gente come Richard Long o Joseph Kosuth, per loro resta la fumosa frase «price upon request». C’è ancora chi resiste, siamo all’inizio, portare Ai Weiwei e abbinare tutta la sua politica a un costo nudo e crudo mette a disagio. Eppure i rari precedenti all’estero dimostrano che il riserbo non paga, attrae il collezionista, non il profano e di certo non aumenta il fascino.
Ilaria Bonacossa, che dirige e tiene in piedi questa Artissima sperimentale, incoraggia la svolta: «Alla prima riunione mi guardavano come se fosse un’oscenità, poi molti hanno seguito l’indicazione. Sono convinta che questo stacco con il passato resterà anche dopo l’emergenza e darà soddisfazioni». Gallerie internazionali come David Zwirner o Perrotin, all’ultima Frieze di Londra, solo in forma virtuale, non si sono fatti problemi a etichettare lavori da 350 mila euro. Da noi i pezzi grossi fanno resistenza, come se il mistero sostenesse il valore. Pazienza, il tabù si sgretola uno zero alla volta. Chi, rapito dalla contesa delle elezioni americane, volesse aggiudicarsi l’insieme di scritte che fanno La politica della paura, di Martin Andres, può cliccare sul titolo e leggere 7.000 euro. Comprarlo non è obbligatorio, saperlo è quasi una rivoluzione.