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 2020  novembre 06 Venerdì calendario

Periscopio

L’attività tv della Bignardi ha inforcato una tendenza sempre più peggiorata, favorita dal fatto che la Bignardi si è cercata, via via, emittenti sempre più di nicchia: da Mediaset a La7, poi Raitre (portato, da direttrice, ai minimi di ascolti) e infine adesso alla Nove. Gianluca Veneziani. Libero.
Lasciai Repubblica, prima per la Stampa poi per il Giornale. Cambiai sponda perché a sinistra mi censuravano. Agnelli mi fece un’offerta favolosa per la Stampa. Lo stesso accadde con Berlusconi anni dopo per il Giornale. Ho fatto una bella vita. Campo ancora di quei guadagni. I soldi non li ho mai chiesti, me li hanno offerti. Mi andava molto bene, economicamente. Ma poi Agnelli morì e Berlusconi si è dileguato. I giornali, anche a destra, si sono irreggimentati. E le mie vignette sulle alcove del Cav non sono piaciute. Giorgio Forattini, vignettista politico (Giancarlo Perna). Libero.

Il Pci non c’è più e quindi l’egemonia ha perduto il manico. Le idee che circolano oggi nella società italiana, e che le marciscono dentro, sono ormai idee di nessuno e non c’è più una testa che se le possa riprendere. È impossibile confutarle e rispedirle al mittente. Sono irresponsabili, senza padre né madre, espanse come il polistirolo, diffuse come i gas, imprendibili, inafferrabili, in giudicabili come lo Spirito Santo. Dunque onnipotenti. Saverio Vertone, L’ultimo manicomio. Rizzoli, 1992.

Hugo Pratt, classe 1927, nato a Rimini per sbaglio, era veneziano fino al midollo: nelle vene sangue inglese, provenzale, ebreo sefardita e chissà cos’altro. Ma a Venezia, una volta, era normale così. A 12 anni seguì il padre nell’allora Africa orientale italiana, oggi Etiopia. Alla caduta dell’impero, Pratt raccontava (ma provate voi a separare la verità dalle balle con un narratore) che al momento dell’arresto da parte degli inglesi papà Rolando prese un libro, L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson e lo mise nelle mani del figlio: «Anche tu troverai un giorno la tua isola del tesoro», gli avrebbe detto prima di essere portato via per morire in un campo di internamento nel ’42. Hugo Pratt (Maurizio Pilotti). Libertà.

Prima leggevo, ora con il Parkinson neanche più quello. Dopo la terza riga sento montare la nausea. Gli amici dicono: ma come fai a scrivere? Non lo so. Lo faccio e basta. È la sola àncora che mi è rimasta, assieme ad Angela, mia moglie. Edoardo Boncinelli, genetista (Antonio Gnoli). la Repubblica.

Fra i fuoriclasse degli editori ne cito solo tre, ahimè defunti. Inge Feltrinelli, dal fascino pari alla sua intelligenza. Cesare De Michelis, l’ultimo editore letterato e il miglior erede di Aldo Manuzio. Luigi Spagnol, che portò in Italia la saga di Harry Potter e altri quattro autori da oltre 1 milione di copie. Ricardo Franco Levi, presidente degli editori di libri (Aec) (Stefano Lorenzetto). Corsera.

Mi interesso dei drogati dal 1968, quando il fenomeno era agli inizi. È stato con «Telefono amico» che li ho scoperti: chiamavano in continuazione, da quello che dicevano saltava fuori una disperazione speciale, che prima mi ha incuriosito, poi impressionato, in fine mobilitato. Volendo curare seriamente i drogati, mi sono affidato agli esperti, quelli che dicono di esserlo e si fanno pagare di conseguenza, ma con piccolo dettaglio che non sanno un fico secco. Anzi, siamo chiari: sono delle bestie. Quindi, a parità di ignoranza, fa meglio chi non si crede un padreterno, almeno affronta il problema con umiltà, che è indispensabile per capire. Padre Eligio. (Vittorio Feltri). Libero.

In una canzone io immagino di essere assunto in cielo con i miei amici veri. È un mio sogno panteistico. Mi piacerebbe tanto rivedere nonna Amabilia, nonno Pietro che morì quando avevo tredici anni, il prozio Enrico che morì quando ne avevo ventitré: ero militare e non mi diedero la licenza. E mio padre e mia madre. Francesco Guccini, cantautore (Aldo Cazzullo). Corsera.

Antonio Scurati, classe ’69, è nato a Napoli e cresciuto a Venezia, poi a Milano, dove si è laureato in Filosofia, perfezionandosi a Parigi. Attualmente insegna scrittura creativa all’Università Iulm di Milano e dirige con Gianni Canova il Master in Arti del racconto. Lo incontriamo a Ravello, costiera amalfitana, luogo di vacanza da quando «ero piccolo così», fa con la mano a metà del femore. Luca Mastrantonio. Sette.

Cuochi e sommelier sono ovunque e non parlano solo di amatriciana o di cotoletta alla milanese, ormai sono opinion leader a tutti gli effetti, essenza di classe dirigente. Ci spiegano perché lo spread si alza, commentano le manovre finanziarie. E poi ci spiegano come fanno impresa. Questa è la narrazione dominante, poi ci sono i numeri. Quanto dichiarano in media i nuovi sacerdoti dello sviluppo? Sedicimila euro l’anno, meno di un loro dipendente. Quanto fatturano ristoranti, agriturismi, sommelier, teorici dello slow food? Poco, molto poco... Stefano Massari. l’Opinione.

A Dresda nel 13 febbraio 1945 la città, ignara del destino terribile che incombeva su di essa, festeggiava alla meglio il Carnevale. L’Opera era aperta e così il grande Circo Sarrasani. I bambini avevano indossato costumini e maschere. Con addosso quei poveri abitini colorati furono poi sepolti a migliaia nelle fosse comuni e bruciati sui roghi all’aperto nei giorni successivi. La stazione centrale di Dresda rigurgitava di 10 mila profughi, stipati nei treni e ammassati sui marciapiedi. Alle 22,13, preceduti dalle squadriglie incaricate di lanciare le bombe luminose con cui inquadrare senza rischi l’area del massacro, 244 quadrimotori inglesi «Lancaster», quelli della prima ondata, si avventarono sulle prede. Ma non era finita. I 529 quadrimotori della seconda ondata non faticarono a reperire il bersaglio delle 1,30 di notte; l’immenso braciere si scorgeva a 250 km di distanza. Le colonne di pompieri giunte da dovunque furono sterminate, nella loro fatica senza speranza, dalla seconda ondata da bombardieri che furono studiati proprio per questo obiettivo. Piero Buscaroli, Paesaggio con rovine. Camunia, 1989.

La guerra è il male assoluto Non ci sono guerre gioiose o guerre tristi, belle guerre o guerre sporche. La guerra è il sangue, la sofferenza, i visi bruciati, la pioggia, il fango, gli escrementi, i topi che corrono sui corpi, le ferite mostruose, le donne e in bambini trasformati in carogne. La guerra umilia, disonora, degrada. È l’orrore del mondo. Hèlie de Saint Marc, ufficiale francese della Legione straniera, Mèmoires. Perrin, 1995.

La donna casta è come un uomo disoccupato. Roberto Gervaso.