il Fatto Quotidiano, 5 novembre 2020
I salari italiani sono più bassi di quelli del 2007
Arrivano i nuovi lockdown e torna il concetto di lavoratori essenziali. Ma gli stipendi, specie di molti addetti ritenuti “indispensabili”, restano i più bassi delle principali economie europee. Per le buste paga degli italiani è come se la crisi non fosse mai finita. E con la parola crisi non si intende il crollo della produzione innescato dal Covid, ma la recessione iniziata nel 2008. Anche un attimo prima che il virus ci travolgesse, infatti, i nostri salari erano comunque inferiori a quelli del 2007. Nel 2019 quello medio si è fermato a 30.028 euro annui, contro i 30.172 euro di dodici anni prima.
Questo è il risultato dello studio del ricercatore Nicolò Giangrande per la Fondazione Di Vittorio (Cgil). La situazione dell’Italia, dove è esploso il part-time e la maggior parte dei posti creati in questi anni è a basse qualifiche, è unica tra i Paesi comparabili. Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi e Spagna hanno superato la cifra che avevano registrato nel 2007. I francesi, per dire, sono passati da 35 mila a 39 mila euro; i tedeschi da circa 36.500 a 42.400 euro. Il nostro Paese non è riuscito a sfruttare il treno della ripresa ed è arrivato alla nuova crisi senza aver colmato il ritardo (ritardo che riguarda anche il Pil in generale). Tornando ai salari, anche se allarghiamo lo sguardo al 2000, la crescita italiana è di appena il 3,1%. Solo la performance della Spagna ci assomiglia, partita da 26.884 all’inizio del millennio, arrivata 26.676 sette anni dopo e a 27.468 nel 2019.
Da noi, una famiglia con due redditi prende poco più di 45 mila euro lordi all’anno, mentre in Germania supera i 69 mila. Un single italiano va di poco oltre i 21 mila euro, reddito inferiore di 10 mila euro rispetto a un tedesco. Per capire che cosa ci porta in fondo alla classifica bisogna vedere come è composto – e come sta cambiando – il nostro mercato del lavoro. Nel 2008 i dirigenti, figure con gli stipendi più alti, erano il 2,1% del totale, mentre oggi sono l’1%. Il problema più grande sembra il declino dell’industria, che nessun governo è riuscito ad arginare. Gli addetti alle professioni tecniche sono passati dal 22,3% al 17,6%. Quelli che svolgono mestieri manuali specializzati sono scesi dal 26,6% al 21%. Sono invece aumentate le posizioni nel commercio e nei servizi e, al contrario di quanto successo nell’Eurozona, le mansioni non qualificate. Poi c’è il proliferare del part-time, che da noi è spesso involontario. In Italia con un tempo parziale si guadagna meno di un full time non solo per le minori ore lavorate, ma anche in termini di salari orari.
Anche se calcoliamo la quota salari in rapporto al Pil, la nostra percentuale risulta la più bassa. La ministra del Lavoro Nunzia Catalfo ha ripetuto martedì che punta a introdurre un salario minimo e pure la Commissione europea viaggia in tal senso con una proposta di direttiva. L’obiettivo è anche sostenere chi – operando per esempio nella logistica, nei supermercati e nelle pulizie – sta garantendo servizi essenziali rischiando la propria salute.
Proprio la crisi Covid, però, è usata dalle imprese come pretesto per non innalzare gli stipendi dei dipendenti. Il leader della Confindustria Carlo Bonomi sta dettando la linea per i rinnovi: niente aumenti sui minimi, solo premi di risultato nelle aziende che vanno bene. Oggi, per questo, sciopereranno i metalmeccanici.