La Stampa, 5 novembre 2020
Biografia di Joe Biden
Nel 1988, a 46 anni, la vita politica del senatore Joseph Robinette Biden jr. sembrava per sempre chiusa da uno scandalo. Durante le primarie democratiche, che avrebbero infine nominato il governatore Dukakis, Biden fu colto a scopiazzare un discorso del grigio leader laburista britannico Kinnock, mimandone la vita da operaio a parlamentare. A novembre parve addirittura che morisse, vittima di un aneurisma.
La malattia, dopo la vergogna del plagio, fece dire alle volpi di Washington che Biden, detto «windbag», trombone, per i discorsi verbosi e ricolmi di gaffe, era pronto per la pensione, non la Casa Bianca. Eletto al Senato nel 1972, 30 anni appena compiuti, Biden resterà invece alla Camera Alta fino al 2008, quando Barack Obama lo sceglie come vicepresidente. In quattro decenni da senatore, Joe Biden, come tutti lo chiamano, registra un record parlamentare di moderato, spesso in dissenso con i liberal su economia, società, politica estera. Sa di dovere rispondere ai fedeli elettori del Delaware, bianchi moderati, che vivono nelle villette col prato e detestano gli estremisti. Farli felici per Biden non è opportunismo, già nel 1968, l’anno delle rivolte per la pace in Vietnam, è all’università ma a un picchetto di militanti che lo invita in assemblea replica, «Meglio la pizzeria».
Figlio di un piazzista di auto usate, va al college spesso con un ferrovecchio preso in prestito in concessionaria, cattolico, raro irlandese astemio, «troppi alcolizzati in famiglia», Biden spiegherà poi «Non andavo in piazza, per cambiare il sistema mi feci eleggere consigliere nella contea di New Castle, a 28 anni». E questo, dai dibattiti sui parcheggi in Delaware fino alle soglie della Casa Bianca, resterà il suo brand, pacche sulla schiena, amicizia con i colleghi, domeniche passate a chiacchierare con gli elettori. Vincendo, ancora studente, la carica di Presidente della sua classe al college, si precipita a salutare un possibile rivale, asso del football, «Se ti fossi candidato tu ero spacciato», facendoselo amico per la vita.
In Senato Biden non è certo l’anarchico dipinto dalla propaganda del presidente Trump, ma neppure un socialista alla Sanders o un liberal come Ted Kennedy. È un moderato, vota per l’invasione dell’Iraq di Bush figlio ed è, sotto il presidente Clinton, regista delle leggi durissime di polizia che, per fare dei democratici gli sceriffi contro il crimine, condannano migliaia di cittadini, per lo più afroamericani o ispanici, a lunghe detenzioni, fino all’ergastolo per tre crimini non violenti. Da presidente della Commissione Giustizia, Biden presiede nel 1987 la caotica conferma alla Corte Suprema del magistrato Robert Bork, che Ted Kennedy voleva silurare, memore del suo ruolo pernicioso per insabbiare l’inchiesta del Watergate contro il presidente Nixon.
Bork affronta il duello con i senatori in modo franco, da intellettuale, Biden fa l’uomo di partito. E quattro anni dopo, alla conferma del controverso giudice della Corte costituzionale Clarence Thomas, il sempre prudente Biden non rivelerà le accuse di molestie sessuali mosse, a suo carico, dalla giurista Anita Hill, inimicandosi a lungo le femministe. Hill arriva infine in Senato, in una rovente sessione con citazione dei particolari su peli pubici e lattine di Coca, Biden la contrasta e lei non glielo perdonerà mai. In politica estera Biden, presidente della Commissione Esteri, è un democratico della sua generazione, scottato dal Vietnam, ostile agli interventi militari, fino al conflitto civile della Jugoslavia, 30 anni fa, a Guerra Fredda finita, quando appoggia l’intervento di Clinton nei Balcani contro il dittatore Milosevic.
Una seconda campagna presidenziale, venti anni dopo la prima, finisce in nuovo disastro, nessuna primaria vinta, finché Obama non identifica in Biden, bianco, cattolico, centrista, bonario, il perfetto vicepresidente. Il suo turno da numero 1 arriva nel 2016, ma la tragedia, che l’aveva privato nel 1972 della prima moglie e di una figlioletta in fasce, in un incidente stradale, torna a investirlo con la morte del figlio primogenito Beau, carismatico, veterano dell’Iraq, magistrato, brillante futuro politico, stroncato dal cancro. Biden non corre, si dice anche per la freddezza di Obama, e sembra ormaiun malinconico ex «windbag» in pensione. Invece, a sorpresa, ci riprova per la terza volta contro Trump e, dopo la falsa partenza in New Hampshire, gli elettori neri della South Carolina gli danno finalmente una vittoria e da lì la nomination. In campagna elettorale, malgrado età e isolamento da virus, Biden evita le famose gaffe, si difende nei due testa a testa col focoso Trump, dribbla gli scandali che punteggiano la vita del secondogenito Hunter e arriva alla notte elettorale in vantaggio nei sondaggi. Al terzo tentativo, ormai considerato KO dagli analisti, detto «Pisolo» da Trump, il vecchio Biden gioca l’ultima, più importante partita di moderato, bonario, amico di tutti, il pragmatico Uncle Joe, lo zio Joe.