Corriere della Sera, 4 novembre 2020
Lo sciopero surreale dei metalmeccanici
Per la serie «c’è sempre una prima volta», in questo complicatissimo 2020 vedremo l’abbinata di scioperi nelle fabbriche e coprifuoco nelle strade. Giovedì, infatti, i metalmeccanici di Fim-Fiom-Uilm hanno confermato l’astensione di 4 ore decisa quando la curva dei contagi non era così preoccupante. Il rinnovo del contratto dei meccanici è da sempre l’appuntamento-clou delle relazioni industriali italiane e quindi l’episodio si carica di un valore assoluto. Ma ha senso chiamare alla lotta i lavoratori in una situazione caotica come l’attuale? Direi proprio di no, anche perché basta ascoltare le voci di dentro del sindacato e registrare la quasi unanimità delle previsioni: del rinnovo si finirà per parlarne non prima del 2021. E allora perché confermare lo sciopero? Perché non dare una prova di responsabilità nella migliore tradizione del sindacalismo italiano che con i Lama, Carniti e Benvenuto è stato sempre attento a non mettere troppa distanza tra le rivendicazioni delle confederazioni e il sentire comune del Paese? La motivazione che i sindacalisti adducono tira in ballo l’ostinazione e le chiusure delle controparti ma non sarà certo uno sciopero incastrato tra coprifuoco e ambulanze a spostare gli equilibri confindustriali. In questo momento la continuità dell’industria manifatturiera è uno dei pochi punti fermi su cui contare nel disastro economico che si annuncia, la produzione industriale anche a ottobre ha tenuto e occorre la massima coesione tra aziende e sindacati affinché le fabbriche possano restare aperte nella più assoluta sicurezza. Colpire con lo sciopero quel segmento del sistema economico che contribuisce a tenere su il Pil è un’operazione alla Tafazzi. In un Paese più povero e fiaccato è difficile che possano spuntare fuori i soldi per soddisfare le richieste salariali di Fim-Fiom-Uilm.