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 2020  novembre 04 Mercoledì calendario

22QQAN40 22QQAF13 Su "Lo specchio e la luce" di Hilary Mantel (Fazi)

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«Mozzata la testa della regina, se ne va. Il morso dell’appetito gli rammenta che è l’ora di una seconda colazione…». La testa è quella di Anna Bolena, chi ha assistito alla sua decapitazione e ha i pensieri serenamente già lontani, è l’uomo che è riuscito a farla salire al trono e poco più di tre anni dopo a liberare il re dalla sua presenza, ormai ingombrante. È Thomas Cromwell, Segretario particolare del re, Lord Custode del Sigillo privato, primo Conte di Essex, vicegerente spirituale, ovvero vicario del re nella Chiesa d’Inghilterra, quindi l’uomo più potente del regno dopo Enrico VIII. Qualcuno dice prima. È il 19 maggio 1536 e da questa scivolosa pozzanghera di sangue regale comincia l’ultima parte della trilogia che Hilary Mantel ha dedicato a un personaggio essenziale della storia inglese ed europea, che Hans Holbein il Giovane ha ritratto con distacco e forse fastidio: il corpo robusto avvolto in severi panni di lana nera bordati di visone, il brutto viso dalla bocca serrata e dai piccoli occhi crudeli. I primi due volumi, Wolf Hall e Anna Bolena, una questione di famiglia raccontano della allora inimmaginabile ascesa di questo figlio di un fabbro miserabile e violento, che fuggendo adolescente in Italia, si mette al servizio dei Frescobaldi, impara l’arte di convincere e vincere e il prezioso italiano che gli consentirà di servire il cardinale Wolsey e di trattare con la Chiesa di Roma. Il terzo, appunto Lo specchio e la luce che esce dopo otto anni di attesa, copre solo 4 anni, dal 1536 al 1540, quelli del massimo prestigio di Cromwell e della sua precipitosa caduta, in 48 giorni, verso il patibolo. 1133 pagine, 98 personaggi esistiti, i Tudor e la casa reale, i Cromwell, gli amici di Cromwell, i Seymour, i rivali dinastici, i prelati, i diplomatici, i politici, i cortigiani, gli aristocratici, i responsabili dei figli del re, Maria, Elisabetta, Edoardo, gli inglesi a Calais, i tedeschi a Clèves, i prigionieri nella Torre di Londra e nel convento di Shaftesbury. «Se ne va» scrive Hilary Mantel nella prima riga della prima pagina, e per tutta la storia userà il tempo presente, Cromwell sarà “lui”: e chi legge entrerà nei suoi pensieri, proverà le sue emozioni, ragionerà con lui, sarà lui: con lui alla fine sentirà sotto la mannaia «il sapore della morte, lenta, metallica, non ancora sopraggiunta. Nel terrore che lo ha invaso, cerca di ubbidire al padre, ma le mani non riescono a trovare un appiglio, né lui riesce a strisciare…».
Si scrivono da sempre romanzi storici, in Italia una montagna, ma è la sapienza letteraria di questa autrice a rendere i suoi assoluti capolavori, oltre alla sua precisione documentaria, ai quindici anni di lavoro, che le hanno fatto vincere due Booker Prize, il più prestigioso premio di lingua inglese, per i due primi volumi, nel 2009 e nel 2012; il Guardian considera Wolf Hall il primo tra i cento libri più importanti degli ultimi vent’anni. La storia sanguinosa e pazza dell’epoca Tudor la conosciamo attraverso il cinema e la fiction, ma Mantel ci sprofonda oltre gli amori, le guerre, i tradimenti, le torture, i costumi ingioiellati, le danze, il boia, la peste, i banchetti senza forchette, che di solito appagano la nostra voglia più romanzesca che storica. Noi siamo lì con lei, accanto a quel re che era un grande magnifico ragazzo ai tempi della prima moglie Caterina, ed ora è un ciccione con una gamba infetta che si unisce alla terza sposa, la graziosa Jane Seymour, dieci giorni dopo l’esecuzione della seconda, la Seymour che morirà due anni dopo in seguito al parto che ha esaudito il desiderio del re di avere un figlio maschio; con gli occhi impassibili di Cromwell assistiamo all’indietreggiare inorridito al primo incontro, della quarta sposa, la tedesca Anna di Clèves, 25 anni, con quel marito quasi cinquantenne che del resto non la vuole; non assisteremo al quinto matrimonio con la diciassettenne Catherine Howard perché lui, a 55 anni, sarà prigioniero nella torre, né alla di lei decapitazione solo 10 mesi dopo perché sarà già stato giustiziato. Del passato secolare sappiamo ciò che i potenti hanno trascritto, la loro storia, ma ben poco della vita della gente; la genialità della Mantel è quella di inserire la sua fantasia e le sue emozioni dove c’è il vuoto storico, e attorno a Cromwell ce ne è, perché con la sua morte molti dei documenti che lo riguardano e molte sue lettere sono state distrutte per spregio: noi non c’eravamo in quei palazzi e in quelle strade e naturalmente neppure lei che ce li sta raccontando, ma la sua arte sa immaginare, ricreare, quel tempo e quegli uomini in modo che pare vero: via da tutto ciò che per noi è il presente, in una quotidianità dove puoi essere condannato a morte per aver indossato qualcosa di rosso senza essere nobile e mandato al rogo per aver confessato di non credere che il pane e il vino contengano il corpo di Cristo. Ci si può perdere in uno dei conflitti più sanguinosi dell’epoca Tudor, quello religioso di cui Cromwell è un protagonista geniale, cinico, distruttivo, impegnato a salvarsi la pelle quotidianamente, perché Enrico VIII è un cattolico fervente, va a messa cinque volte al giorno e l’inevitabile distacco da Roma lo strazia; mentre lui, vicegerente spirituale del re, per ragioni soprattutto politiche, pensa ai movimenti protestanti del Nord Europa, appoggia in segreto Tyndale che traduce la Bibbia in inglese e che per questo andrà al patibolo, si avvicina al nuovo credo che sta sorgendo in un Paese ignoto, la Svizzera, con cui non esistono relazioni di nessun tipo, e che pure è più detestato dal re che il luteranesimo delle terre tedesche. Il re è ormai a capo della nuova religione separata, ma ha in orrore le eresie, però è ben contento che il suo amato Cromwell svuoti i monasteri cattolici e passi a lui (e a sé) le loro vaste ricchezze. Ma i monarchi di allora, e i governanti di oggi, (non sempre) con meno sangue, sono frettolosi e decisi: inutile perder tempo, qualunque accusa va bene, non c’è bisogno di provarla, né di arrivare al processo, basta l’interrogatorio affidato ai nemici dell’accusato, nel caso di Cromwell i grandi aristocratici ansiosi di vendicarsi delle umiliazioni che lui ha fatto loro subire e che disprezzano ferocemente il suo sangue plebeo. Le accuse sono tante e fantasiose, il famoso corsetto color porpora, i troppi servitori, le eresie, l’aver tramato per sposare la figlia maggiore del re, Maria, 34 anni, che pure è stata esclusa dalla successione. E naturalmente l’errore fatale, avergli trovato quella moglie che lo disgusta, per i vantaggi finanziari del Paese, perché Clèves abbonda di allume che in Inghilterra non c’è, necessario per tessere e conciare. La vigilia della fine dicono al condannato, «Eccellenza, il re vi accorda clemenza sul modo in cui morirete. Sarà la scure…». Sale sul patibolo, paga il boia come è dovuto, poi «si dispone per morire. Pensa, se lo fanno altri, lo posso fare anch’io. Al naso gli arriva qualcosa. Il dolce odore grezzo della segatura: il profumo della cucina Frescobaldi…».