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 2020  novembre 03 Martedì calendario

Che cos’è la terapia intensiva

In Medicina l’ uguaglianza di valori e di pari dignità di ogni essere umano che necessita di cure e terapie d’urgenza, a salvaguardia della sua salute, soprattutto quando è a rischio la vita, è un principio non negoziabile ed esente da criteri di scelta sotto il profilo sia deontologico che professionale, criteri che non possono essere mai utilizzati separatamente. Le notizie circolate in questi giorni, come già accaduto in primavera, riguardo ad un ricorso selettivo e di libero arbitrio, da parte dei medici rianimatori, dei pazienti da sottoporre alle terapie intensive rispetto ad altri, è falso e tendenzioso, oltre che offensivo e deplorevole per un’ intera classe di sanitari che in queste settimane è sottoposta ancora una volta ad una dura prova di dedizione e sacrificio senza sosta e senza orari, mentre affrontano, in tutta Italia, a rischio della propria incolumità, l’urto violento della seconda ondata dell’ epidemia da Coronavirus. Nella totalità dei reparti di Rianimazione del nostro Paese, qualora si verifichi la carenza di posti letto liberi per accogliere tutti coloro che necessitano di tale assistenza, è vero che l’ accesso alle Terapie Intensive va deciso caso per caso, ma in base a diversi e rigorosi parametri, non solo basati sull’età, perché se lo squilibrio tra necessità e risorse persiste, la precedenza per l’ accesso ai trattamenti intensivi va a chi potrà effettivamente ottenere grazie ad essi un concreto, probabile e duraturo beneficio, applicando criteri dettagliati, concorrenti ed integrati, valutati caso per caso, sia che il paziente critico abbia 20 od 80 anni. L’ elenco di tali criteri sono stati specificati già lo scorso marzo in una nota congiunta dalla Federazione degli Ordini dei Medici e la Società di Anestesia, Rianimazione e Terapia Intensiva, in un documento messo nero su bianco, che spiega, per dirimere ogni dubbio, le raccomandazioni da prendere in considerazione nei casi di urgenza ed emergenza, le quali comprendono innanzitutto la gravità del quadro clinico, poi la comorbilità, lo stato funzionale pregresso, l’ impatto sulla persona dei potenziali effetti collaterali delle cure intensive, la conoscenza di espressioni di volontà precedenti (Dat), nonché la stessa età anagrafica o biologica, la quale però mai e poi mai può assumere carattere prevalente. Chiaro? Indubbiamente il documento offre un supporto professionale, scientifico ed autorevole a quei sanitari costretti dagli eventi quotidiani a prendere in pochi minuti decisioni a volte difficili e dolorose in situazioni emergenziali per ridurne lo stress, l’ ansia e soprattutto il senso di solitudine dei medici, illuminando il loro processo decisionale con questo aiuto certificato che limita e contiene comunque la personale arbitrarietà. E tali regole non propongono affatto di trattare alcuni pazienti e condizionare i trattamenti su altri, anzi, al contrario, costringe gli anestesisti-rianimatori a focalizzare l’attenzione sull’ appropriatezza delle terapie verso chi ne può trarre maggiore beneficio, laddove le risorse non siano sufficienti per tutti i malati, e a non dover seguire il criterio di accesso alle cure intensive di tipo “first come, first served”, ovvero chi arriva primo, per primo viene curato. Tutti gli ammalati in condizioni critiche che, per i motivi appena esposti, non sono ritenuti dai rianimatori trattabili in modo intensivo, ovvero non sono valutati eleggibili ad un trattamento intensivo considerato controindicato a causa delle loro gravissime condizioni cliniche, le quali fallirebbero e renderebbero altamente improbabile ottenere risultati concreti, accettabili e con benefici duraturi per la loro vita, sono comunque, in ogni caso ed in ogni condizione, presi in carico e sottoposti alle cure più appropriate al loro stato generale, alle terapie più proporzionate alle condizioni gravi in cui versano e di cui vi sia disponibilità, senza mai essere abbandonati al loro destino, né “scartati”, “selezionati” o “scelti” in favore di qualche altro paziente più giovane o meno grave. L’ obiezione etica (e umana) su regole di questa portata apre interrogativi enormi e sono molti coloro che chiedono se tali paradigmi siano eticamente condivisibili, ma bisognerebbe valutare il dramma di un medico che si trova di fronte al dilemma reale, fino ad allora per lui solo accademico, di avere a disposizione un solo ricovero possibile in presenza di due pazienti in condizioni ugualmente critiche. Cosa fare se non privilegiare per primo chi ha maggiore speranza di vita? Ricordo che in Lombardia, in occasione della prima ondata di Covid19, le persone che affollavano i reparti ospedalieri ed abbisognavano di ossigeno, che avevano necessità di cure intensive urgenti e con provate chance di recupero, in carenza di posti letto disponibili in Italia venivano addirittura trasferite nei nosocomi della Germania, ove esistevano maggiore disponibilità di risorse che potevano concretamente salvare loro la pelle, come spesso è avvenuto. Il diritto individuale all’ eguale accesso alle cure sanitarie è e resta il cardine che la Costituzione sancisce, che lo Stato è tenuto a fornire, e che i Medici hanno il dovere di garantire quale principio deontologico indissolubile. Quindi non si tratta di compiere scelte meramente di valore o di frettolosa valutazione personale, ma di riservare la priorità a chi può avere più probabilità di sopravvivenza, e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata, in un’ ottica di massimalizzazione dei benefici per il maggior numero di persone, senza mai perdere di vista l’ orizzonte generale: il diritto che ognuno di noi, a qualunque età ed in qualunque condizione, conserva sempre di essere curato, anche e soprattutto nelle situazioni limite che mettono a rischio la propria vita.