La Stampa, 3 novembre 2020
Intervista al filosofo Pascal Bruckner
«Siamo tornati al Medioevo! È una risposta degna dei secoli cosiddetti bui il rimedio di isolare gli anziani per arginare il dilagare della peste e del colera e adesso del Covid-19. Le persone più avanti con l’età proprio nel Medioevo furono le prime a essere ricoverate in speciali strutture»: non ha dubbi Pascal Bruckner nel bocciare l’idea di un confinamento speciale per gli over 70 o 60. Tra i più noti e brillanti nouveaux philosophes, il 71enne parigino ha da poco pubblicato Una breve eternità. Filosofia della longevità (Guanda), un’elaborata riflessione sul prolungamento delle prospettive di vita a partire dalla seconda metà del ’900.
Le polemiche su una possibile «messa in sicurezza», ovvero su un’esclusione degli anziani dalla vita sociale, si sono accese di recente in Italia: cosa ne pensa?
«Anche in Francia si è dibattuto a lungo sulla tutela delle persone più fragili e più esposte al contagio. Si è deciso, saggiamente, di rinunciare a norme speciali per separare i più attempati dalla loro comunità. Devono essere le persone a scegliere, si è detto, in base alla responsabilità individuale. Nel mio Paese si sono verificati finora circa 36 mila decessi che hanno colpito per la maggior parte i più adulti. Ma gli ospedali sono affollati anche da chi ha meno di 50 anni. In Francia la fascia d’età over 60 è numericamente superiore a quella degli under 20. Non dimentichiamo poi che proprio molti anziani sono centrali nella vita del Paese: rispetto al passato, oggi si vive una vecchiaia iperattiva. Questa idea impropria e inapplicabile del lazzaretto per i più maturi nasce da pregiudizi e da confusioni culturali. Oggi non si sa esattamente cosa sia la terza età».
Abbiamo i paraocchi?
«L’autunno della vita è affrontato come se fossimo nell’800 o ancor prima. Non viene preso in considerazione il fenomeno per cui, a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, con il sostegno delle biotecnologie e della medicina, abbiamo guadagnato alcuni decenni di vita dai 50 anni in poi. Esiste attualmente una nuova fase dell’esistenza che io chiamo "autunno indiano" dove non si è più giovani ma nemmeno matusalemme. La senescenza può anche essere estremamente attiva. Dipende dalle scelte dei singoli individui: c’è chi si rinchiude e chi è dinamico e affronta con spirito nuovo una nuova fase della vita. Noi invece continuiamo ad avere interiorizzato lo stereotipo dell’anziano che si ritira nella sua nicchia. Ma attualmente non è più così, molto potere sta nelle mani di leader politici, scienziati, scrittori, professori e artisti avanti negli anni. Se venissero estromessi si creerebbe un vuoto difficile da colmare».
Perché invece qualcuno continua a bollare le persone in età matura come «improduttive»?
«È assurdo. Ho scritto e teorizzato che ci si può addirittura "ritirare dalla pensione": si dovrebbero riammettere al lavoro, su base volontaria, tutti coloro che non hanno impegni usuranti e desiderano rientrare in quel mondo. In Francia, ma anche in Italia, si stanno richiamando in corsia i medici che per limiti d’età erano stati mandati a casa. Il loro apporto è stimato essenziale. Gli over 60 sono dei protagonisti anche perché sono al centro del mondo dei consumi, sono coloro che spendono di più».
Quali le capacità peculiari degli anziani?
«L’esperienza e la perspicacia aumentano con gli anni. Gli over 60 trasmettono conoscenza, nozioni e sapere. La loro memoria del passato è importante, grazie a loro possiamo conoscere altre epoche direttamente dalla voce di chi le ha vissute».
Cosa dobbiamo insegnare ai giovani nel loro rapporto con gli adulti in questa epoca di Covid?
«Spesso gli adulti peccano di giovanilismo. Esagerano. Sfidano le vette dell’Everest oppure si travestono da ventenni rubando abiti e accessori a figli e nipoti. È una condanna per i ragazzi che, sull’esempio dei genitori, finiscono per considerarsi perennemente bambini e si sottraggono a doveri e regole. I più grandi a loro volta devono essere consapevoli di vivere al tramonto e non all’alba dell’esistenza. Destinare gli anziani all’isolamento a causa della pandemia significa comunicare ai giovani che non esiste la solidarietà. In un momento come questo ne abbiamo gran bisogno e i legami tra le generazioni la rafforzano».