il Giornale, 2 novembre 2020
I boschi in Italia sono raddoppiati
È il segreto del bosco nuovo, quello che è tornato, quasi contromano, in direzione ostinata e contraria, a riprendersi i suoi spazi. Forse non ce ne siamo accorti; forse non ce lo aspettavamo, dopo aver sempre pensato all’Italia come un Paese diviso fra spazi sempre più urbanizzati e distese agricole. Eppure il Belpaese è una delle terre più boschive d’Europa e gli alberi sono di nuovo tra noi.
Lo confermano i più recenti ed accreditati studi come quelli firmati dalla RaF Rapporto sullo stato delle foreste e del settore forestale; lo ribadiscono i numeri di Crea Consiglio per la ricerca in agricoltura ed analisi dell’economia agraria. «Nel 1936 sul territorio italiano c’erano circa sei milioni di ettari di boschi, due anni fa, invece, se ne registravano 11 milioni». RaF e Crea sono un po’ la bibbia del bosco, antico e nuovo testamento di un ecosistema che credevamo perduto: «In 80 anni le foreste italiane sono quasi raddoppiate e nel 2018 hanno superato la superficie agricola nazionale», spiegano gli esperti. Di più: negli ultimi 5 anni l’Italia avrebbe messo il turbo e si è «rinverdita» con 320mila ettari alberati, una superficie pari all’intera provincia di Arezzo, secondo il Global Forest Resources Assessment della Fao.
IN CONTROTENDENZA
Pensi agli italiani, popolo di santi, poeti e navigatori, non certo taglialegna. Che invece ti immagini, zelanti, esperti, lassù al Nord, quello dove fra foreste e abetaie, filtra meno luce. Sono i boschi, ora tremendi, ora fiabeschi cantati dai fratelli Grimm e da Perrault: perché Cappuccetto rosso avrà avuto le sue buone ragioni per non dare appuntamento alla nonna e al lupo in una bella radura solatia italiana. Poi pensi alla musica e a quelle liriche un po’ formato Ikea dei Beatles di «Isn’t it good, Norwegian wood?». Omonimo cartaceo di quel bosco in musica è il best seller firmato dallo scandinavo Lars Mytting che nel suo «Norwegian wood il metodo scandinavo per tagliare, accatastare e scaldarsi con la legna», distilla tutta l’arte di prendersi cura di un bosco, metafora del rapporto uomo-natura.
Ora nel filone c’è una declinazione anche italiana che racconta una nuova Penisola, «dalla parte delle radici». E se ragionassimo in termini di età, dopo oro, bronzo e ferro, questa potrebbe essere davvero l’età del legno, «Se sapremo capire l’importanza di una gestione forestale sostenibile». Ne è convinto il giornalista Ferdinando Cotugno, autore di «Italian wood, Alla scoperta di una risorsa che non conosciamo: i nostri boschi» che ha appena dato alle stampe per Mondadori Electa. «L’ avanzata delle foreste spiega lo scrittore è il principale cambiamento avvenuto sul territorio italiano nell’ultimo secolo». L’Italia ha vinto la medaglia di legno: nello sport è quel quarto posto, fuori podio, che non si vorrebbe mai, eppure non è sempre un’occasione mancata: «Un territorio che torna in parte forestale è la prima sfida da far comprendere agli italiani, che, nella maggior parte dei casi, non sanno di vivere in un Paese ricoperto per un terzo di boschi», scrive Cotugno.
Faggi e castagni tornano a crescere in Piemonte, gli abeti rossi e i castagni in Lombardia, Veneto, Trento e Bolzano. In Emilia Romagna regnano i carpini, ma anche i faggi, come in Abruzzo, mentre in Calabria si rinfoltiscono pino nero e loricato. Sorpresi? Sardegna, con leccete e sugherete, e Toscana, con farnetto e fragno, sono le due Regioni che superano il milione di ettari di superficie forestale, ma in proporzione alle dimensioni è la Liguria la più «legnosa», con il 73% del territorio, a staccare il Trentino, fermo al 66%.
Fin qui il catalogo di questo erbario moderno, dove una cosa è certa: l’incremento boschivo ha riguardato, negli ultimi 15 anni, tutte le Regioni in modo uniforme, con un ritmo oscillante, fra i 77 e i 52mila ettari l’anno.
Che cosa è successo? Nelle 284 pagine del rapporto RaF è tutto spiegato: si tratta di una «Colonizzazione spontanea di aree marginali», dove solo il 18% di questo «boom» verde è stato oggetto di qualche forma di pianificazione. Tradotto significa che per l’82% i boschi italiani sono affidati alla casualità che li restituisce alla natura e non ad una scelta ambientale. Se uniamo questo dato ad un’altra cifra, e cioè che per il 73% le «vecchie nuove» foreste italiane si trovano sulle aree più interne e meno accessibili, allora quella medaglia di legno mostra il suo rovescio.
Significa che nel passato nemmeno troppo recente, ma fin dalla rivoluzione industriale, siamo andati sempre più inurbandoci. Abbiamo cercato, quasi venerato, l’idea, non solo architettonica, di un «bosco in città», creando invece «uno scenario contraddittorio», che accosta la sempre maggiore antropizzazione di alcuni luoghi ad un progressivo abbandono e inselvatichimento di altri. Più città, ma anche più boschi, lasciati bradi e al loro destino. Anche per questo, scrive Cotugno, «dobbiamo agire in fretta: la tutela del bosco sarà sempre più al centro della nostra vita».
I motivi? Eccone alcuni: frane, smottamenti, incendi, catastrofi meteorologiche che si innescano su un territorio già fragile, con conseguenze ancora più gravi – come nel caso della tempesta Vaia. Il bosco va curato, gestito come si faceva un tempo, se è vero che l’83% delle nostre frane sono di origine boschiva, mentre molti incendi derivano dalla mancata pulitura di biomasse e necromasse in decomposizione che rendono un terzo dell’Italia altamente infiammabile.
MENO DISNEY PIÙ ECONOMIA
Il bosco va anche «sfruttato», con buona pace di chi si è fermato all’agiografia bucolica, forse pure un po’ disneyana si legge nel libro per cui Bambi è sempre solo buono e un po’ sfigato. Eppure vedere ormai cervi e caprioli giungere affamati ai bordi delle città o lupi e cinghiali vagare senza meta, lontani dai loro habitat, non è un segno di salute. La sovra- brucazione, per esempio, che certi animali apportano a piante ed arbusti non è solo un problema italiano – mette a repentaglio l’habitat e la tenuta stessa di un bosco già negletto e poco curato che in Italia cresce al ritmo di 1,6 km quadrati al giorno.
Perché è questa la fotografia delle foreste italiane: utilissime come naturale mitigazione ambientale con il loro «respiro», apprezzatissime come risorsa turistica, somigliano piuttosto a grandi deserti «verdi» dove solo lo 0,43% della superficie viene davvero «messo a frutto». È qui, sulle attività produttive, che nasce la contraddizione di un sistema, come rilevano gli studi sia di Fsc Forest Stewardship Council, sia di Pefc Programme for endorsement of Forest Certification Schemes, le due principali autorità internazionali in fatto di tutela dell’ambiente boschivo. L’economia del legno, compreso il taglio e lo sfruttamento anche in campo energetico, deve tornare centrale, accanto all’ecologia e alla tutela di questo «nuovo» ambiente. Per una seconda volta. «Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi». Lo scriveva dai boschi del Massachusetts, Henry David Thoreau nel 1854. Forse sarebbe ora di ascoltarlo.