La Stampa, 2 novembre 2020
Biografia di Erica Jong
«Tutti hanno una qualche forma di talento: quello che è raro è farlo fruttare e seguirlo sino ai luoghi oscuri dove esso ti porta». È una frase che ripete spesso, Erica Jong, e non si riferisce soltanto all’arte, ma a ogni singola scelta dell’esistenza. Quando la incontri per la prima volta ti colpisce immediatamente per una vitalità sfacciata e piena di ironia: porta magnificamente i suoi 78 anni, e in ogni gesto, in ogni battuta, in ogni sorriso sembra perennemente alla ricerca del piacere. Può sembrare inevitabile, persino scontato, per l’autrice di Paura di volare, ma ti accorgi subito che quella ricerca costante non accetta, anzi combatte, tutto ciò che è effimero.
«La felicità è un diritto», sostiene, ricordando che è scritto anche nella Dichiarazione d’Indipendenza, e il fine ultimo della sua ricerca è la sconfitta di un dolore che riemerge sempre, e al quale sembriamo condannati: il deperimento del corpo, al quale affida il piacere dell’esistenza, ne è un simbolo evidente e ineluttabile. Ne parlammo a una festa nella quale eravamo capitati entrambi quasi per caso, e dove si mise a ballare sfrenatamente, trascinando molti sconosciuti a seguirla. Poi, tornando a casa, mi confidò una sua massima: «Vivo la mia esistenza secondo questo principio: se ho paura di una cosa devo farla».
È nata in una famiglia di ebrei di origine polacca, Erica: il padre Seymour Mann era un uomo d’affari che possedeva, tra le altre cose, un’azienda specializzata in bambole di porcellana. La madre Eda, che ha vissuto sino a cento anni, era una pittrice appassionata e apprezzata. Il fatto di provenire da una famiglia benestante le ha offerto l’opportunità di comprendere sin da giovane quanto la ricerca della felicità non abbia mai nulla a che fare con la condizione sociale. È di fede liberal, ma è spesso critica nei confronti della sinistra americana, che tuttavia appoggia in ogni occasione: sono critiche fatte con la passione che si ha nei confronti di ciò che è più vicino.
Si è laureata a Barnard, uno dei più prestigiosi college statunitensi, e pochi anni dopo debuttò nella poesia con la raccolta Frutta e verdura, ma deve alla narrativa una fama legata in gran parte al primo libro: Paura di volare, scritto a trent’anni, divenne nel giro di qualche settimana un fenomeno impressionante e imprescindibile, con oltre venti milioni di copie vendute nel mondo. Le avventure del suo alter ego Isadora Wong trascendono il sesso, che pure abbonda in ogni pagina, e riverberano domande che in quegli anni di grande cambiamento si ponevano le donne di ogni parte del mondo: l’elemento più appassionante e riuscito del libro è la riflessione sul senso ultimo della femminilità e cosa c’è nell’intimo di un’autentica passione amorosa. Isadora si interroga in ultima analisi sulla propria identità, e a cosa ambisca realmente, nella vita: ancora una volta il contrasto tra il piacere effimero e l’anelito per qualcosa di duraturo.
Lo straordinario successo del libro la portò a scrivere altri due romanzi con protagonista Isadora, ma Come salvarsi la vita e Paracadute e baci non raggiunsero gli stessi risultati. Divenne tuttavia un punto di riferimento del femminismo, un’icona e addirittura una star, ed ebbe l’intelligenza di mantenere sempre una grande dose di autoironia, come quando venne citata in una canzone di Bob Dylan, dove il suo cognome fa rima con wrong, «sbagliato».
Nel romanzo che l’ha resa celebre si riflettono anche le passioni e le traversie dei suoi primi matrimoni, con il compagno di college Michael Werthman e poi con lo psichiatra di origine cinese Allan Jong, del quale ha mantenutio il cognome: è con lui che ha vissuto per più di tre anni a Heidelberg, in Germania. Sono ispirati invece al terzo marito Howard Fast molte vicende dei libri seguenti, mentre del quarto, Ken Burrows, con il quale vive tuttora, ha parlato solo in un articolo sulla rivista Talk. Ripensando ai fallimenti dei precedenti legami, decise di stilare d’accordo con lui un contratto prematrimoniale, ma dopo dieci anni di felice vita coniugale diede alle fiamme l’accordo, dando origine a una tradizione imitata da molte amiche newyorkesi. «Le più grandi femministe sono state anche le più grandi amanti», spiega senza ironia e con aria soddisfatta. «Non sto pensando a Mary Wollstonecraft e sua figlia Mary Shelley, ma anche Anaïs Nin, Edna St. Vincent Millay, e ovviamente Saffo. Non puoi dividere le personalità creative dalle personalità umane. Fin quando le donne con carattere sono considerate malvage, continueremo a fare l’errore di essere cattive».
Non ha paura di andare controcorrente, Erica, e alcune sue prese di posizione hanno fatto scalpore, come una teoria alquanto astrusa sull’11 settembre, con cui nega la versione ufficiale degli attacchi terroristici. A Saffo, citata come modella di femminismo, ha dedicato uno dei suoi libri migliori, in cui si identifica completamenyte cone la poetessa greca. Pensava proprio a lei quanto scrisse queste righe di Paura di volare: «Volete che vi dica qualcosa di veramente sovversivo? L’amore è quanto di più emozionante esiste, ed è proprio per questo che la gente è così cinica a riguardo. È l’unica cosa per cui vale veramente la pena combattere, per cui essere coraggiosi e rischiare: il problema è che se non rischi qualcosa, rischi ancora di più…». Una sera, dopo una serata delle «Conversazioni» a Capri, le chiesi se ritenesse di essere una persona felice. Rispose: «Non è importante quanto dolore tu possa sentire, o quanta gioia. Qualunque idiota può provare dolore. La vita è piena di scuse per provare dolore, scuse per non vivere, scuse, scuse scuse…».