Robinson, 31 ottobre 2020
QQAN20 Riscoprire Maria Corti
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Maria Corti ha avuto molte vite e molte patrie: definirla storica della lingua italiana (la materia che insegnò per decenni all’università, prima a Lecce e poi a Pavia) è giusto, ma non basta. C’è anche la scrittrice: L’ora di tutti, Il ballo dei sapienti, Il canto delle sirene, Cantare nel buio, Ombre dal fondo, Catasto magico… E le patrie? Maria Corti era nata a Milano nel 1915, ma il padre lavorava come ingegnere presso il comune di Maglie, nel Salento, da qui la consuetudine di passare le vacanze con lui, radicandosi anche in quella terra.
L’ora di tutti, il romanzo dedicato all’assalto dei turchi alla città di Otranto nel 1480, è una sorta di Spoon River in prosa: l’ora di tutti è quella della morte. Ma prima ancora, negli anni Cinquanta, c’era stata la frequentazione del poeta Girolamo Comi che a Lucugnano pubblicava la rivista L’albero. Poi Maria aveva vinto il concorso per la cattedra di Storia della lingua italiana, che già insegnava come incaricata a Pavia. Era incerta se accettare la scomoda sede di Lecce, dove l’università era appena nata, e si consultò con Gianfranco Contini. «Scelga Lecce, è più elegante». Quando tenne la lezione inaugurale ebbe la sorpresa di trovare in aula Dante Isella e Cesare Segre, scesi in macchina a tutta velocità per esserle vicini. Erano suoi amici e presto li avrebbe ritrovati come colleghi a Pavia, altra patria per tanti anni. Esisteva una scuola di Pavia? Piuttosto, diceva Maria Corti, c’era una scuola legata alla rivista Strumenti critici che dal ’67 cominciò ad uscire per Einaudi. Maria Corti era stata allieva di Benvenuto Terracini con cui si era laureata in Lettere. Si era anche subito dopo laureata in Filosofia, seguendo le lezioni di Antonio Banfi che l’aveva messa in contatto con gli ambienti della Resistenza. Terracini, intanto, si era rifugiato in Argentina per sfuggire alle persecuzioni razziali fasciste. Quando tornò in Italia, nel ’47, la Corti riprese il dialogo con lui e si riavvicinò all’università. Nel frattempo aveva insegnato nelle scuole medie di Chiari e poi al Liceo Beccaria di Milano. Gli anni di Chiari sono ricordati nel romanzo Cantare nel buio, mentre agli insegnanti di Pavia e agli studenti del Beccaria è dedicato, ma con nomi diversi, Il ballo dei sapienti, legato anche al gergo studentesco di quegli anni. Dopo una prima ristampa, la Corti non volle più pubblicarlo ritenendolo invecchiato. Era piaciuto a Montale che ne aveva parlato sul Corriere della Sera, ragionando di un «comico intriso di molta pietà». Nel 1970 Maria Corti firmava con Cesare Segre un volume sui Metodi attuali della critica in Italia (Eri): in pratica una serie di lezioni trasmesse da Radio 3. Metodo era la parola chiave: pochi mesi prima Feltrinelli aveva pubblicato un volume di scritti della Corti intitolato Metodi e fantasmi. Nell’introduzione c’era una puntualizzazione preziosa: bisognava non cadere nella «petulante miticizzazione di una scienza della letteratura, altrettanto pericolosa come i trasporti spirituali di una certa critica del passato». Si trova in questo volume il saggio in cui la Corti attribuisce il Delfilo, poemetto cinquecentesco, a Marco Antonio Ceresa e non a Francesco Colonna. Tra le prove addotte c’era anche una ricognizione nei luoghi narrati nel poema. In pratica Maria era andata in giro in macchina per il piacentino a cercare un castello che corrispondesse alla descrizione contenuta nei versi e l’aveva trovato a Momeliano. Era la “pistola fumante” come si dice nei gialli e a Maria toccò d’essere paragonata dai suoi colleghi ai più celebri investigatori. Il castello, tra l’altro rappresentato in un manoscritto del Delfilo, era ancora della stessa famiglia dell’autore. Ma come si rinnovava la critica all’epoca della già citata rivista Strumenti critici? Il discorso è complesso e passa attraverso la dilvulgazione in Italia dei formalisti russi e poi dello strutturalismo e della semiologia. Un bello spirito rimasto anonimo ribattezzò il gruppo di Pavia “il giardino dei Finti Contini”, ma basta leggere il capitolo sulla critica semiologica nei già citati Metodi attuali che si deve a Umberto Eco per cogliere l’ampiezza dei propositi. Erano comunque anni di grande fermento culturale, tra neoavanguardia e ’68: Maria Corti frequentava molto gli scrittori e gli intellettuali. Aveva conosciuto Manganelli poco più che ragazzo, andava spesso a trovare Montale, ma seguiva anche i più giovani come Orengo (sua la prefazione alle poesie Cartoline di mare) o Pusterla, dialogava con Calvino, Malerba e Arbasino, proteggeva la Merini. Aveva sempre scritto sui giornali a cominciare dal Giorno passando poi a Repubblica.
Le piaceva, in sostanza, stare sulle barricate del presente, promuovendo magari, con Balestrini, Eco, Leonetti e Spinella, riviste militanti come Alfabeta. Ma il suo segreto, credo, era quello di accostarsi agli antichi come se fossero di nuovo contemporanei, frequentandoli quotidianamente. Fu così con Dante, investigato nelle sue fonti islamiche, tanto da apparire molto diverso da quello che pensavamo di conoscere. Uno choc. Aveva forse sbagliato tutto? Consultò Contini che la incoraggiò. Era partita da una suggestione di Dionisotti che aveva osservato: della biblioteca di Petrarca sappiamo tutto e abbiamo persino qualche volume, della biblioteca di Dante non sappiamo nulla. Si trattava dunque di riempire un vuoto, inseguendo i filosofi del tempo. Dante, come recita il titolo del suo saggio era “a un nuovo crocevia”. Negli anni Settanta a Maria venne in mente di costituire a Pavia un Centro Manoscritti, che avesse lo scopo di salvare gli archivi degli scrittori. Cominciò col donare lei stessa alcune carte di Montale, poi sarebbero arrivati tutti gli altri e persino scrittori del passato come Foscolo, un prezioso dono del collezionista Gianfranco Acchiappati. Fece in tempo, Maria, scomparsa nel 2002, a rendersi conto che con l’avvento dei computer si sarebbero perdute per sempre le prime prove e addio critica delle varianti! Nel 1995 Rizzoli ha pubblicato un libro intervista di Cristina Nesi alla Corti: Dialogo in pubblico.
Lo consiglio a chi voglia entrare nei dettagli di una vita tutta vissuta per capire: da Dante a Bifo, dalla lingua medievale a quella di Radio Alice, da Cavalcanti al rock degli Skiantos.