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 2020  ottobre 31 Sabato calendario

Gusto & olfatto. Se manca la strana coppia

Si dice che il gusto sia il senso del critico, purché quest’ultimo non sia un criticone ipercritico con la puzza sotto il naso. Neanche il tempo di incominciare l’articolo che ci siamo già smarriti nel gioco di specchi fra gusto e olfatto, due sensi che hanno la straordinaria capacità di cambiare senso. Di operare un continuo switch tra naturale e culturale, materiale e immateriale, concreto e astratto, fisico e spirituale. Perché gusto e olfatto, sapore e odore, palato e naso, che in partenza sono radicati nella profondità del bios, nella nostra istintualità fisiologica, con una doppia piroetta del significato, assurgono a garanti supremi dell’eleganza e della convenienza, della conoscenza e dell’esperienza, dell’estetica e della sinestetica. Della ragione e dell’intuizione. E perfino della religione. Tant’è che parliamo di gusto artistico. Ma anche di odore di santità. O di eresia. In realtà più che di due sensi distinti, si tratta di un solo vettore a due motori percettivi. Non a caso gli antichi etimologisti fanno derivare odore da edere, cioè mangiare. Prendendo la causa per l’effetto poiché il mangiare è uno dei fattori che influenza il nervo olfattivo. Dello stesso avviso è anche il fondatore della gastronomia moderna, Anthelme Brillat- Savarin, che considera odorato e gusto un unico senso «di cui la bocca rappresenta il laboratorio e il naso il camino». Ancor più in là si spinge Immanuel Kant che definisce l’olfatto il gusto preliminare. Come dire che l’odore è il trailer del sapore.
E se si pensa alla parentela linguistica tra sapere e sapore, sapienza e sapidità, si capisce perché i nostri due sensori più animali si trasformino negli attributi dell’uomo di buon gusto, che ha dalla sua il fiuto infallibile del connaisseur.
Giacomo Leopardi, che quanto a materialismo non è secondo a nessuno, dice addirittura che l’idea stessa di bellezza nasce dall’esperienza del sapore e non da quella del colore, come comunemente si crede. Insomma, per l’autore de L’infinito, il gusto e l’olfatto smaltano la vista. Una posizione decisamente controcorrente, visto che nella gerarchia dei sensi hanno fama di essere quelli più primitivi, più legati al corpo che allo spirito. E per questo penalizzati da una cultura come quella cristiana dove la parte nobile dell’essere è costituita dall’anima. E dove per la stessa ragione i sensi più compromessi con i nostri appetiti sono visti come una peccaminosa zavorra da trascendere. Non a caso sono i driver della gola e della lussuria, o dell’una e l’altra insieme. Ecco perché la Chiesa ha sempre guardato con sospetto ogni basic instinct sensuale. E quando parla di odore lo fa per lo più in termini negativi. Il puzzo infernale, il tanfo dei peccati, il fetore del paganesimo. Nel Canto XI della Divina Commedia il baratro dell’inferno si avverte in lontananza per l’alito fetido che emana, tanto che Dante e Virgilio si ritraggono nauseati. Senza dire dell’odore dei soldi, che gli uomini di Dio paragonano allo sterco del diavolo. In polemica con il celebre pecunia non olet ( il denaro non ha odore) attribuito all’imperatore romano Vespasiano. Per converso, la bocca e il naso sono per antonomasia gli organi degli amanti, dei gourmet, degli assaggiatori, dei seduttori, dei profumieri e di tutti coloro che cedono volentieri ai diletti della carne.
Rosa fresca aulentissima, cantano nel Duecento i laicissimi poeti della Scuola siciliana, con allusione anatomica neanche troppo velata. Perfino il bacio, molto prima di diventare un apostrofo rosa tra le parole t’amo è una irresistibile sinergia tra bocca e naso. Charles Darwin, padre dell’evoluzionismo, sostiene che il contatto bocca a bocca sia una forma di riconoscimento olfattivo, una segnalazione di compatibilità fra i corpi che è all’origine dell’attrazione erotica e dell’affettività. Nell’India antica si usa una stessa parola per dire baciare e annusare. Gustando le labbra del partner si sussurra” ti odoro” invece che” ti adoro”. E nella Cina tradizionale ci si sbaciucchia soffiando, per far arrivare il proprio profumo. Scambiandosi quello che in Birmania e nelle lingue indocinesi si chiama namschui, da nam odore e tschui aspirare.
Ma sapori e sentori sono anche veicoli della memoria, rappresentano l’aspetto organolettico degli affetti, il retrogusto del passato che riaffiora sulla punta della lingua, trasportato da un effluvio di nostalgia, come la madeleine di Proust. E se il profumo è un ricordo più vivido di una fotografia, il coronavirus che cancella gusto e olfatto, è il piromane che brucia la pellicola della nostra vita.