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 2020  ottobre 31 Sabato calendario

Tatto. Sulla nostra pelle

«Touch has a memory». Il verso di Keats riassume tutto, o quasi, quello che serve sapere sul tatto. Come siamo stati toccati da piccoli si deposita nella memoria fisica che è poi una memoria psichica perché l’Io, diceva Freud, si forma a partire dalle sensazioni che provengono dalla superficie del corpo. Il verso di Keats è anche il titolo di una canzone di Pete Atkin che diceva ( traduco): «Il tatto ha una memoria/ migliore degli altri sensi./ Udito e vista possono combattere/ ma il tatto non ha difese,/restituisce la consistenza delle cose per quel che sono…». Erano gli anni Settanta, prima dell’Aids e prima del Covid, dunque anni di grandi toccamenti, che Susan Sarandon ha immortalato nell’estasi del Rocky Horror: «touch- a touch- a touch- a touch me, I wanna be dirty». Diversamente dagli altri sensi, concentrati in un solo organo – l’occhio, l’orecchio, la lingua, il naso – il tatto è distribuito e diffuso. Ogni centimetro quadrato di pelle conta circa 130 recettori tattili specializzati in freddo, caldo, tocco, dolore e variazioni di pressione. Il palmo della mano, sede della carezza, è tra le parti del corpo a massima sensibilità tattile; l’altra è il viso. Sia chiaro che la mia apologia del recettore non implica che tutti i contatti siano piacevoli e tutte le distanze siano rinunce.
Il Covid e le sue regole – niente baci, abbracci, carezze, se non tra congiunti e non sempre – hanno messo in crisi il primato del tatto. Se incontro per strada un’amica devo operare una riformulazione cognitiva che trasformi la freddezza del distanziamento nel calore della tutela. I fobici arretrano, i controfobici avanzano (alcuni teneramente altri con ostentazione). Ci vuole tatto, parola interessante perché si riferisce sia alla percezione degli stimoli cutanei, sia alla delicatezza, alla discrezione e all’opportunità di un gesto. Stiamo imparando ogni giorno a rinunciare con tatto al contatto. Sappiamo che è una misura provvisoria e che torneremo a gioire delle nostre pelli. Anche perché la teoria dell’attaccamento e ogni altra scienza psicologica insegnano che siamo nati per toccarci: al biberon, le scimmie dell’esperimento di Harlow preferivano il peluche. Al touch screen preferirebbero il touch.
Questi mesi di astinenza tattile lasceranno il segno? Credo di sì, in forme di allarme o disagio per il corpo sociale. Ma come dice uno dei protagonisti del capolavoro di Camus «soffrivo della peste molto prima di conoscere questa città e questa malattia». In effetti, stavamo già cambiando. Il Covid ha accelerato i tempi polarizzando alcune opzioni distanzianti: nei rapporti ( virtualizzazione, realtà immersive), nel lavoro ( agilità comoda ma in solitudine), nell’insegnamento (accesso facile ma senza la maieutica dei volti). Prima del contatto fisico anche quello vocale si era affievolito: più whatsapp, meno telefonate (in molti casi è un bene, ma tante amicizie hanno perso la voce). Si registra un declino della corporeità. E della sessualità: il consumo di pornografia online, già altissimo, è schizzato alle stelle. Masturbazione e feticismo (di oggetti e immagini) guadagnano terreno.
Virus pericolosi ad alta diffusione non possono che promuovere contatti diffidenti. Potrebbe essere questo, dopo tanti morti, il lutto silenzioso che più a lungo ci abiterà cercando di cambiarci. Di questi tempi sarebbe interessante ascoltare Susan Sontag, che ci ha insegnato a non metaforizzare le malattie. Quando a marzo ho iniziato a domandarmi cosa significa vivere considerando l’altro un potenziale pericolo, ho pensato alla stagione dell’HIV. Entrambe le virulenze hanno promosso comportamenti preventivi, frustranti ma virtuosi, da apprendere. Entrambe hanno acceso il fantasma sociale del portatore irrilevabile, l’asintomatico infetto. La grande differenza è che l’HIV era ( è) una malattia del sangue e del sesso, mentre il Covid- 19 è una malattia del respiro e della socialità. Diversi tra loro, HIV e Covid sono eventi biopolitici che insegnano molte cose sull’impatto di una diagnosi sui corpi e le culture sociali. Mi mancano le relazioni toccanti perché sono relazioni di pelle ma anche di cuore. La dieta tattile oggi è necessaria e va osservata, ma in attesa di ritrovarci è importante essere consapevoli della disposizione mentale e affettiva con cui conviviamo nella distanza, che sempre custodisce un corpo immaginato. Come in tutte le condizioni nuove, penso anche alle sedute online che hanno temporaneamente disincarnato le terapie, possiamo fare scoperte che ci aiutano a riflettere sulla materia di cui è fatta una relazione, diretta o mediata dalla tecnica. Nella sospensione dei corpi può essere utile ricordare che oltre a quella travolgente del bacio, l’altra figura del desiderio è la distanza. Il cuore, del resto, vive di due movimenti: diastole e sistole, separazione e abbraccio.