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 2020  ottobre 31 Sabato calendario

La macchina colabrodo dei fogli di via

Un panino, un frutto, una bottiglietta d’acqua. E il foglio di via. Il 23 settembre, quando Brahim Aoussaoui sale a Lampedusa sulla nave Rhapsody per i 14 giorni di quarantena previsti, 500 suoi connazionali approdati in Italia poco prima di lui, sono già liberi. Fatti scendere a Porto Empedocle dalla stessa nave dopo il tampone negativo e corsi via, sotto lo sguardo vigile di polizia e carabinieri, verso la stazione ferroviaria o dei bus di Agrigento. Per risalire l’Italia e provare a raggiungere ognuno la sua meta. Esattamente come accaduto a Trapani, il 25 agosto, dove i 200 nordafricani sbarcati dall’altra nave quarantena, la Azzurra, sono stati addirittura accompagnati alla stazione sui bus delle forze dell’ordine. E come accaduto a Bari il 9 ottobre quando, insieme al terrorista che 20 giorni dopo avrebbe colpito a Nizza, altri 250 immigrati che avevano concluso la quarantena a bordo della Rhapsody sono stati lasciati andare con un foglio di via in tasca che intimava loro di lasciare l’Italia entro sette giorni. Un migliaio, almeno, in meno di un mese solo a contare quelli scesi dalle navi quarantena. A cui si aggiungono la maggior parte dei migranti economici arrivati a Lampedusa sui barchini. Più di 23.000 nell’ultimo anno, 6.600 dei quali respinti alla frontiera.
Solo 1 su 10 torna in Tunisia
Qualche numero per fotografare il pasticcio dei fogli di via: degli 11.195 tunisini sbarcati a Lampedusa nel 2020 i rimpatriati sono 1.100, uno su dieci. Un numero fortemente condizionato, nella prima metà dell’anno, dallo stop ai voli per l’emergenza Covid e al quale la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha dato una grossa spinta nelle ultime settimane ottenendo dal governo tunisino il raddoppio dei voli charter previsti per 80 persone a settimana. Ma non è che la lista di coloro che attendono di essere rispediti a casa sia poi così lunga: i dieci centri per il rimpatrio attivi in Italia hanno solo 548 posti e neanche tutti occupati (344). A partire, identificati e accettati dai paesi d’origine e scortati dalla polizia, sono di norma quelli i cui nomi, inseriti nel sistema investigativo europeo Sdi, fanno accendere un campanello d’allarme, per precedenti penali, perché già espulsi o segnalati dall’Intelligence. Gli altri se ne dovrebbero tornare a casa da soli.
I seven days
In gergo si chiamano seven days, dal termine ( che ovviamente nessuno rispetta) che li separa dall’ingresso ufficiale nell’esercito dei clandestini. Sono gli immigrati che non avanzano neanche richiesta d’asilo perché si sa già che non hanno i requisiti per ottenere alcun tipo di permesso di soggiorno. Sono i cosiddetti migranti economici, quelli che l’Europa non vuole e l’Italia dovrebbe farsi carico di rimpatriare. Senza che ci siano le minime condizioni per poterlo fare, quest’anno più che mai.
Il 2020, anno nero
Con la media dei dinieghi di ogni genere di permesso di soggiorno scesa fino al 20 per cento delle richieste d’asilo dopo l’abolizione della protezione umanitaria con i decreti sicurezza, il numero delle persone in teoria da rimpatriare è lievitato in modo esponenziale. Per intenderci: delle oltre 27.000 persone sbarcate quest’anno dovrebbero esserne rimandate a casa ben più di 20.000 ma il numero dei rimpatri da anni oscilla sempre tra i 6 e 7.000. È sempre stato così, anche quando al Viminale c’era Salvini che ora chiede le dimissioni di Luciana Lamorgese indignandosi per i migranti lasciati liberi con il foglio di via. Quattro su cinque restano in Italia, nella migliore delle ipotesi. Nel 2019 su 26.900 ordini di rimpatrio, rileva Eurostat, ne sono stati eseguiti 6.470, più della media degli ultimi dieci anni. Prendiamo il triennio 2015-2017: dei 112.809 immigrati destinatari di un provvedimento di espulsione, solo 16.899 sono stati rimpatriati ( appena il 17 per cento), tutti gli altri hanno ricevuto un foglio di via e ognuno per la sua strada.
Lasciapassare per i “buoni"
Di fatto una sorta di temporaneo lasciapassare a migliaia di persone che l’Italia e dunque l’Europa non vogliono, formalmente respingono ma di fatto lasciano sul loro territorio. E che i migranti ovviamente accettano di buon grado. «Meglio avere in tasca questo foglio che essere rimpatriato. Non vogliamo tornare in Tunisia», dicono tutti coloro che scendendo dai barchini e sanno bene a cosa vanno incontro. Il decreto di respingimento del prefetto accompagnato dall’ordine di allontanamento del questore. Una misura che dovrebbe essere adottata solo quando è impossibile il rimpatrio o in assenza di posti nei centri di permanenza, ma che invece, per prassi, viene applicata ai “buoni”, quelli senza precedenti né segnalazioni di sorta. Che siano famiglie con bambini, come quella rimasta per giorni senza un tetto né cibo né soldi nei giardinetti della stazione di Agrigento senza sapere dove andare, aiutata dalla solidarietà della gente, o che siano giovani apparentemente puliti arrivati in Europa in cerca di lavoro. Come sembrava fosse il terrorista di Nizza.