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 2020  ottobre 31 Sabato calendario

Il sistema d’accoglienza italiano fabbrica «fantasmi»

Il nostro sistema di accoglienza è una fabbrica di fantasmi, avendo prodotto più di 600 mila migranti irregolari negli ultimi anni. Ma nessuno può dare lezioni a chicchessia: lo era, infatti, già al tempo di Angelino Alfano e di Marco Minniti, lo è stato durante i quattordici mesi di Matteo Salvini ministro degli Interni e continua a esserlo ora che al Viminale c’è Luciana Lamorgese, messa sotto tiro dalle opposizioni (Salvini in testa) perché uno di questi fantasmi, Brahim Aoussaoui, è passato da Lampedusa e da Bari, per poi dileguarsi e riapparire infine con un coltello in mano nella basilica di Nizza a fare strage di innocenti gridando «Allah u Akbar».
Forse l’islamista tunisino aveva stracciato da poco il decreto di respingimento con cui il questore del capoluogo pugliese gli ordinava il 9 ottobre di tornarsene a casa sua entro sette giorni (un’ingiunzione meno efficace di una grida manzoniana, in quanto priva di qualsiasi forma di controllo).
La prima falla del sistema italiano è questa, e non si può certo dire che sia una sorpresa.
Ascoltata tre anni fa dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle periferie, l’allora prefetto di Roma, Paola Basilone, spiegava con parole assai chiare il meccanismo di produzione degli «invisibili», migranti che non dovrebbero stare qui tra noi: «Se non hanno precedenti penali, non possono essere arrestati e condotti nei Cie (oggi, Cpr, Centri di permanenza per il rimpatrio, ndr); vengono identificati, viene assegnato un termine entro cui devono lasciare il territorio italiano, dopodiché è finita lì». Era l’ottobre del 2017, premier Gentiloni, ministro degli Interni Minniti. Uscivamo dalla gestione del ministro Alfano, segnata da carrozzoni dell’accoglienza come il Cara di Mineo e quello di Crotone, il primo in odor di clientela, il secondo di ‘ndrangheta. Stando a un rapporto dell’Ispi, tra il 2013 e il 2017 l’Italia era riuscita a rimpatriare appena il 20% dei migranti cui era stato intimato di lasciare il territorio, a fronte del 78% della Germania. Motivo principale: il 67% delle misure di espulsione riguardava persone provenienti da Paesi africani con i quali non abbiamo accordi di riammissione o ne abbiamo di applicati male.
La peculiarità sembra trovarsi dunque nell’origine dei flussi sull’Italia. Già nel 2007 una commissione d’inchiesta presieduta da Staffan De Mistura parlava di inefficienza del sistema e «documenti espulsivi difficilmente eseguibili». Dieci anni dopo, Gianfranco Schiavone, avvocato dei migranti e membro della commissione De Mistura, rilevava che nulla era cambiato. La soluzione, probabilmente, avrebbe almeno quattro ingredienti: la riapertura di veri canali di accesso legali (chiusi da quasi dieci anni), la chiusura di quelli clandestini (anche con l’intervento della Marina), il lavoro diplomatico nei Paesi d’origine dei migranti (per ottenere accordi di riammissione in cambio di cooperazioni rafforzate) e, soprattutto, la netta distinzione della figura di profugo da quella di migrante economico (che nel caos italiano sono quasi sinonimi, con conseguenze sociali e giuridiche devastanti).
Nulla di tutto questo è accaduto con Salvini al Viminale. Niente nuovi accordi bilaterali, una media di venti rimpatri al giorno (82 gli anni necessari a quel ritmo per riportare a casa lo stock di irregolari), addirittura un aumento degli irregolari per effetto del primo decreto Sicurezza, che ha abolito la protezione umanitaria senza prevedere un percorso per i fuorusciti dall’accoglienza (la ministra Lamorgese glielo ha ricordato ieri parlando di 20 mila irregolari in più). Poco o nulla è cambiato, però, con il governo giallorosso di cui Lamorgese è ministra. È occorso più di un anno per ritoccare (non abrogare) i decreti di Salvini, manca del tutto un piano complessivo che porti a un nuovo testo unico sulla materia.
Non che in Francia vada molto meglio. Il sistema d’accoglienza (di recente reso più duro da Macron) ha lentezze tali da avere spinto le Ong a un allarme: molti richiedenti in attesa di asilo dormono nelle strade di Parigi o giocano la «carta Calais» nella speranza di arrivare in Gran Bretagna (che ha a sua volta inasprito le misure nella Manica). La Germania, con tipologie migratorie assai diverse, prevede restrizioni alla mobilità durante i primi mesi nei centri d’accoglienza. Ma è l’Italia, quella «porta d’Europa» che Giorgia Meloni vorrebbe chiudere, a sostenere carichi speciali e tensioni eccezionali, per effetto del mai riformato regolamento di Dublino che radica da noi i migranti appena sbarcati (e che, qualche anno fa, avevamo provato persino ad aggirare... dimenticando di fotosegnalare i nuovi arrivati e mandandoli così dritti in Europa). Nell’attesa che le cose cambino soprattutto con Bruxelles, la risposta più immediata non può portare, alla fine, che a forme più estese di detenzione temporanea, con tutti i dubbi anche costituzionali che esse implicherebbero (in singolare consonanza, sia Minniti che Salvini chiedevano più Cie, o come li si voglia chiamare). L’assassino di Nizza è stato valutato e messo in libertà in meno di tre settimane (inclusa la quarantena Covid): con la fretta di sbarazzarsene e dimenticarlo. Pur senza trasformarsi in una galera a cielo aperto, l’Italia deve trovare una via coraggiosa per farsi carico dei propri fantasmi.