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 2020  ottobre 31 Sabato calendario

Frida Giannini segreta

Mi sono sempre occupata del terzo settore, anche quando ero in Gucci ho coinvolto l’azienda in campagne importanti per Unicef, contro la violenza sulle donne. Da quando ho parzialmente smesso di lavorare ho avuto più tempo, e ho accettato con grande entusiasmo di collaborare con Save the Children. Siamo andati in Siria, in Giordania... E la scorsa primavera dovevamo andare in Africa. Ma il Covid ci ha fermato. Mi sono concentrata sui bambini che non mangiano o che vivono il dramma delle guerre. La moda resta la mia passione ma è la metà della mia vita, rendermi utile mi fa sentire bene, ho ricevuto tanto e sono contenta se posso essere d’aiuto con contributi economici e mettendo la mia faccia per una causa. E’ giusto restituire. Me l’hanno insegnato i miei genitori e io sto educando così anche mia figlia che raccoglie i suoi giocattoli e li porta in case famiglie e nelle carceri». Frida Giannini per 13 anni direttore creativo di Gucci, maison dove è approdata a solo 30 anni, è lontana dai riflettori del patinato mondo della moda dal 2015. Senza rimpianti. Ferma un anno per il patto di non concorrenza, non ha mai voluto raccontare i retroscena che hanno portato alla rottura con Gucci. Anche perché ha avuto altro di cui occuparsi. La sua bambina, che ora ha 7 anni, a tre si è ammalata di cerebellite, maledetto e sconosciuto virus che ha stravolto la vita della piccola e di Frida. Mettendo in cima alle priorità la sua riabilitazione e la famiglia.
Cosa è successo?
«A tre anni mia figlia è stata colpita da una malattia neurologica praticamente sconosciuta, la cerebellite. Un’emorragia le ha distrutto tutte le cellule del cervelletto sinistro. E’ un virus del quale si sa poco e niente e che ha un decorso del tutto diverso nei pochi casi che conosciamo. Ci sono pazienti che sono rimasti paralizzati. Sono tutti casi a sé. Ero pronta ad andare dovunque per provare a curare la mia bambina. A Tel Aviv, Los Angeles... Siamo stati fortunati perché abbiamo trovato bravissimi medici e un neurologo straordinario al "Bambino Gesù". Anni di tac, riabilitazione, fisioterapia, ginnastica. Ha recuperato quasi il 90%. Ma è stato un calvario. Anni difficili che mi hanno segnato, lasciandomi in eredità l’emicrania cronica. Sono registrata praticamente in tutti i centri d’Italia. Anche psicologicamente è stata durissima. Figuriamoci con che spirito ho visto le sfilate degli ultimi anni. Cose brutte. E dato che già stavo uno straccio mi sono detta: "grazie anche no"».
Ora è pronta a tornare in pista?
«Mai dire mai. In questi anni non sono stata con le mani in mano, ho fatto collaborazioni silenti. Ma sinceramente negli ultimi 5 anni l’estetica del brutto ha preso il sopravvento e sono scoppiati marchi e marchietti che si sono affidati non a professionisti, o designers, ma a dj che hanno molti fallowers. E a influencer».
A chi si riferisce?,
«Nomi non ne faccio, ma parlo anche di grandi marchi. Per chi come me è cresciuta a pane e moda, lavorando sodo e andando a cercare nelle campagne piccole sartorie puntando sulla qualità è dura constatare che ci si affida a chi ascolta il rap piuttosto che a gente che ha professionalità. Soprattutto in un momento terribile come questo penso che abbiamo diritto al bello e perché no anche al lusso che resiste».
Come sta impattando il Covid nel settore?
«Sta succedendo quello che sta succedendo in tutti i settori, anche le aziende grandi hanno sofferto molto. I marchi medi e più piccoli soffrono di più. Si è bloccata tutta la filiera, per esempio nella zona del comasco, sete, molte aziende hanno dovuto chiudere. Non ce la fanno a resistere con 20 dipendenti in cassa integrazione. Molte realtà stanno scomparendo, soprattutto quelle artigianali che hanno expertise e che hanno dato il via alla moda italiana dagli anni cinquanta in poi. Si è creato un lock anche dal punto di vista della fabbricazione. Per non parlare delle sfilate che sono saltate. Nella moda non è che puoi recuperare l’anno dopo, ogni stagione devi fare una nuova collezione. Si sono salvati i grandi gruppi ma le aziende piccole hanno incassato un duro colpo. Da una parte è un dramma perché la gente perde il lavoro, ma facendo un discorso più cinico ,negli ultimi anni ci sono stati troppi marchietti nuovi, made in Italy che spesso è fatto in Vietnam o a Taiwan. Ci sarà certamente un po’ di pulizia».
Resteranno solo i grandi?
«Almeno nel settore del lusso resterà la qualità. Non si può affidare un brand a chi non sa riconoscere una seta dalla lana. Questi marchi ti vendono una T- shirt con un logo, te la compri un giorno, poi ti compri delle sneakers, una cintura. E poi? Sono meteore che hanno puntato sui Millennials e sui social. Se io se fossi alla guida di una casa di lusso avrei paura a indirizzare tutto sui Millennials. Prima di tutto perché crescono. E poi perché ci sono per fortuna anche delle donne che hanno voglia di avere una bella borsa di Dior e pagarla 4mila dollari. Non lo dico perché le fa la mia amica di sempre Maria Grazia Chiuri. E’ rimasta una delle poche a creare cose di qualità, anche se l’attaccano perché è donna. La moda è un sistema sessista, l’ho vissuto sulla mia pelle per questo mi fa arrabbiare quanto criticano Maria Grazia nonostante sia l’unica che vende articoli di lusso a 360 gradi. Cappotti, trench, cappe, scarpe meravigliose. C’è sempre chi le va addosso».
E’ stato difficile imporsi a 30 anni in un mondo tutto maschile?
«Durissimo. All’epoca eravamo io Stella (McCartney) che aveva il suo marchio e che poteva contare su una rete di relazioni davvero importanti. Esisteva e esiste sessismo. E c’è una lobby gay che fa paura. Anche nella stampa. Da sempre è così».
Come sarà la moda del futuro?
«Spero si archivi l’estetica del brutto, la gente non ne può più di vedere "cessi" di modelle e modelli che sembrano malati e che indossano roba brutta. Io avrei difficoltà a comprare qualcosa. In un momento di generale depressione e tristezza come questo dove pare di vivere in una realtà parallela, precipitati in "Blade Runner" se esci e compri, hai voglia di un vestito che ti faccia sentire bella, di una borsa favolosa che userai sempre. Hai il diritto al bello e lo shopping può essere una terapia».
E’ il momento di tornare?
«Ho imparato che non bisogna mai dire mai».