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 2020  ottobre 30 Venerdì calendario

I nuovi jihadisti visti da Gilles Kepel

«Un jihadismo alimentato da giovani estremisti di quarta generazione, che si radicalizzano individualmente quasi sempre navigando in Rete e sono cresciuti in ambienti che propagandano l’odio per i valori delle società laiche occidentali». Gilles Kepel non esita a tracciare nette differenze tra i profili dei responsabili dei recenti attentati in Francia e quelli del passato. Il celebre politologo francese ci ha parlato ieri per telefono dalla sua casa di Mentone, pochi chilometri da Nizza.
Conosce la chiesa di Notre Dame, dove è avvenuta la strage?
«Sì, è ai bordi di un quartiere abitato da musulmani. Una costruzione in stile napoleonico prospicente la stazione ferroviaria nella zona cerniera tra il centro storico e le aree periferiche. Per l’assassino è stato facilissimo raggiungerla indisturbato. Sembra abbia agito da solo, senza alcuna organizzazione alle spalle».
Non Isis, non Al Qaeda?
«Non credo. Questi nuovi estremisti non sono affiliati ad alcun gruppo. Non sono figli della rabbia degli ex-migranti dall’Algeria, o della struttura piramidale di Al Qaeda e neppure della rete fedele all’Isis. Piuttosto, si sono nutriti dall’atmosfera in cui sono nati e cresciuti. Le loro azioni sono dettate dai messaggi che leggono in Rete. Così è stato per l’assassino d’origine cecena di Samuel Paty, il professore che aveva mostrato le vignette sul Profeta. Qualcuno posta il nome del prossimo obbiettivo da colpire, qualcun altro lo ritwitta su siti noti nell’ambiente. Così si sviluppa un clima d’odio, con tanto di suggerimenti pratici ed indirizzi. Quindi basta poco per trovare il criminale che passa all’azione in nome di Allah».
Macron denuncia l’esistenza di una società parallela pericolosa per lo Stato.
«Concordo. Ci sono intere comunità musulmane organizzate quasi come uno Stato nello Stato. Gestiscono scuole, ospedali, società caritative all’ombra delle moschee, sino a creare serbatoi di voti e determinare i risultati delle elezioni. In Italia il problema è poco avvertito. Avete una tradizione municipale sviluppata. Da voi sono i poteri locali a trattare con i gruppi islamici ed in genere prevale l’interesse economico. Ma la tradizione statuale francese è fortissima e permeata dal valore della laicità».
Conseguenze?
«Stiamo affrontando una guerra culturale importante. Trent’anni fa si combatteva la battaglia contro il velo. Oggi è più grave. I gruppi islamici pretendono di cambiare i programmi scolastici e imporre quelli religiosi. Insegnano che la laicità e valori come la democrazia o la libertà di stampa sono anti-islamici».
Il ruolo della Turchia di Erdogan?
«Non è poi così sbagliato accusarlo di islamofascismo. Il suo modello è il Califfato, un faro per i musulmani. Specie dopo la trasformazione di Santa Sofia in moschea lo scorso 23 luglio, Erdogan si è eretto a difensore anche dei gruppi islamici sparsi per l’Europa».
Però questa volta la Turchia ha condannato l’attentato.
«Erdogan ha fatto un passo indietro per motivi pragmatici. Non vuole lo scontro frontale con l’Europa in questo momento. Ha bisogno dell’Occidente, teme che il suo amico Trump venga battuto alle elezioni, così lavora per mantenere buoni rapporti con Germania e Italia. Ma con la Francia gli attriti restano alti».