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 2020  ottobre 30 Venerdì calendario

Intervista a Sophia Loren

Una vicenda intima e universale, tratta dal best-seller di Romain Gary, trasferita nella Bari multietnica di oggi, ma, soprattutto, intrisa di valori più che mai contemporanei come la tolleranza e l’inclusione. E poi un regista speciale, Edoardo Ponti, il figlio di cui coglie al volo emozioni e sentimenti, senza bisogno di parole. Il figlio che le siede accanto, stringendole la mano e commuovendosi quando prova a descrivere «il legame che abbiamo, la fiducia che ci lega, la forza che ci diamo». Nei panni di Madame Rosa, ex-prostituta ebrea, scampata ad Auschwitz, Sophia Loren torna sullo schermo, dopo undici anni di lontananza dal set, nel film La vita davanti a sé, basato sul romanzo omonimo (edito da Neri Pozza), disponibile dal 13 novembre su Netflix e, stando a Variety, già in odore di nomination agli Oscar: «Per carità, non ci voglio nemmeno pensare, già così, ho avuto un tuffo al cuore, speriamo bene, vediamo... Il mio Oscar è stato lavorare nel film». Al fianco di Loren recitano Ibrahima Gueye, nella parte del bambino senegalese senza famiglia, Renato Carpentieri, Abril Zamora, Babak Karimi. Alla voce di Laura Pausini sono affidate le note della canzone di Diane Warren Io sì (Seen).
Che cosa l’ha attratta della «Vita davanti a sé»?
«È una storia importante, contiene un messaggio di accettazione, amore, perdono. Tutti noi abbiamo il diritto di essere amati e di sperare che i nostri sogni si realizzino, altrimenti sarebbe impossibile vivere».
Come si lavora diretti dal proprio figlio?
«Lavorare con mio figlio è impegnativo, vuole sempre che tocchi note che sa che posso raggiungere, ma non è facile, per me, spingermi così lontano. Naturalmente mi fido di lui, e faccio quello che dice. Nella scena in cui sono immobile sotto la pioggia continuava a ripetermi "mamma, non battere le ciglia", e io pensavo "ma come faccio? Sono tutta bagnata", però, siccome quando mio figlio parla tutto è fantastico, ho fatto come diceva lui "I didn’t blink"».
Ha detto che il personaggio di Madame Rosa le ha ricordato sua madre, perché?
«Soprattutto per la combinazione di fragilità e irriverente vitalità. E poi c’è una frase del personaggio che mia madre ripeteva spesso, "è proprio quando non ci credi più, che succedono le cose più belle". Era un concetto a cui era molto legata, lo ripeteva quando era giù di morale e vedeva tutto nero. Mia madre era una donna che si faceva sentire, vivevamo grazie a lei, suonava benissimo il pianoforte e così riuscivamo a mangiare, per la nostra famiglia era fondamentale quella sua immagine di bellezza e di talento».
Madame Rosa è ebrea, sopravvissuta al lager. Ha avuto contatti diretti con persone che hanno subito la stessa sorte?
«No, mai, ma durante la guerra avevo 3-4 anni e ricordo tutto, gli adulti che parlavano di bombe e di incursioni, a quell’età non si capisce bene che cosa sia la morte, solo crescendo ci si rende conto di quello che si è attraversato in quel periodo».
Perché è rimasta lontana dal set per tutti questi anni?
«Avevo bisogno di silenzio, di far riposare il cervello, di stare con i miei figli, perché il mio lavoro non mi ha permesso di essere sempre presente mentre crescevano. Ho scelto una vita di famiglia, come se fossi una signora che ha lavorato e che poi si è fermata per un po’. Poi è arrivata questa storia che rincuora, e che mi ha intenerito, ricordandomi che il cinema, per me, è essenziale».
Il film è girato a Bari, una città di mare, del Sud d’Italia, impossibile non pensare a Napoli. Qual è il rapporto con la sua città?
«Quando si nasce a Napoli, le origini non si dimenticano mai. Io sono fiera di essere napoletana, al mille per cento. Se devo cantare, canto una canzone napoletana, Napoli è sempre nel mio cuore, è stata la mia fortuna, una scuola meravigliosa, grazie all’incontro fondamentale con De Sica, che era quasi di Napoli, e mi ha fatto vivere i momenti più felici della vita».
Ha un rimpianto, un ruolo che non ha interpretato e che, invece, avrebbe accettato volentieri?
«Tanti anni fa Luchino Visconti mi aveva proposto la parte della monaca di Monza, poi, per ragioni che non ricordo, non se n’è fatto più niente, quella parte mi sarebbe piaciuta moltissimo».
Nella «Vita davanti a sé» ci sono abbracci, carezze, strette di mano, tutte cose che oggi ci sono vietate. Che impressione le fa questo azzeramento di rapporti tra esseri umani?
«Mi è difficile rispondere, i contatti tra le persone contano molto, ma fino a un certo punto. Io ho paura di tutto, seguo le regole, non esco, non faccio cose che sono vietate».
Cinema e teatri sono chiusi e questo in Italia ha suscitato grandi proteste. Che cosa ne pensa?
«I cinema e i teatri sono rifugi, servono a ritrovarci e a capirci meglio, e dispiace che oggi siano chiusi. La salute emotiva è importante, ma quella vera lo è di più. Se oggi siamo messi così, che cosa possiamo fare?».