Il Sole 24 Ore, 29 ottobre 2020
Come misurare l’impatto sull’ambiente degli smartphone?
Apple riserva al tema ambientale un’attenzione molto forte, quasi radicale. E anche l’annuncio del nuovo iPhone 12, accompagnato dagli Environmental Report dedicati a tutti i melafonini a catalogo e dalla confezione priva di caricatore e auricolari per ridurre le dimensioni del packaging, va in questa direzione. Peccato che l’indice di carbon footprint dell’ultimo nato della casa di Cupertino sia in linea con quello del suo predecessore. Con i suoi 70 chilogrammi di Co2 equivalente (e cioè la quantità di gas serra immessi nell’atmosfera), l’iPhone 12 presenta infatti un impatto ambientale identico a quello della versione senza accessori dell’iPhone 11: se il nuovo melafonino rispetta maggiormente l’ambiente nell’intero suo ciclo di vita, genera però più Co2 e 11 in fase di produzione e di assemblaggio della componentistica elettronica. E l’obiettivo dell’impatto zero da raggiungere per la propria filiera e i propri prodotti entro il 2030 resta, per Apple, ancora lontano.
Valutare l’impatto ambientale di uno smartphone è comunque un’operazione tutt’altro che semplice. Anche le cifre rese pubbliche da Apple circa la quantità di emissioni prodotte dai suoi iPhone sono delle stime, per quanto sicuramente attendibili.
E se si volesse calcolare personalmente il carbon footprint del proprio telefonino? Un provider australiano, la Belong (gruppo Telstra), ha provato a rispondere a questa domanda sviluppando un’applicazione in grado di convertire il traffico dati consumato nei grammi di Co2 corrispondenti. La logica alla base dell’app è semplice: più si attivano connessioni dallo smartphone, più aumentano i consumi di energia dell’infrastruttura della rete mobile e più si buttano nell’ambiente emissioni nocive.
Telefonini “usa e getta” killer del clima
I dati periodicamente pubblicati dall’European Environmental Bureau spiegano bene perché si parla tanto di eco-sostenibilità a proposito di dispositivi elettronici. Un rapporto che risale al settembre di un anno fa ci dice infatti che gli smartphone attivi nel Vecchio Continente sono responsabili, per l’intero ciclo della loro vita, di 14 milioni di tonnellate di emissioni di Co2 equivalenti l’anno, tanto quante ne ha prodotte l’intera Lettonia nel 2017. Il punto chiave della questione, secondo gli esperti, è la durata nel tempo di un dispositivo elettronico: in media un telefonino in Europa vive tre anni, i computer portatili circa sei e le lavatrici (a cui va il titolo di prodotto più energivoro in assoluto considerando in consumi in fase di utilizzo) 11,4.
Ebbene, basterebbe prolungare di un anno l’attività di questi apparecchi, garantendo la possibilità di ripararli in ottemperanza alle nuove norme Ue, per evitare 4 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica ogni anno (l’equivalente di quanto inquinano due milioni di automobili circolanti sulle strade) da qui al 2030. Contrastare l’obsolescenza pianificata è un tema caro all’Unione Europea e chiama direttamente in causa le aziende produttrici: difficile valutare il grado di intenzionalità nell’accorciare la durata dell’elettronica, ma è certo che la percentuale di apparecchi difettosi sostituiti è in sensibile crescita da 15 anni a questa parte.
Con le tecnologie mobili si abbatte la Co2
All’apparenza sembra un paradosso, ma non lo è. Grazie all’adozione diffusa e continuativa delle tecnologie di comunicazione mobile è stato possibile ridurre nel 2018 le emissioni di biossido di carbonio per complessive 2,1 miliardi di tonnellate e risparmiare oltre 1,4 miliardi di megawatt di energia elettrica.
Ad alimentare questo circolo virtuoso, documentato da uno studio realizzato da Gsma e Carbon Trust (“The Enablement Effect: The impact of mobile communications technologies on carbon emission reductions”), sono le soluzioni dell’Internet of Things e Machine-to-Machine e si tratta di un primo passo in avanti, secondo gli esperti, nella direzione di una vera economia decarbonizzata ed estesa a tutti settori, dai trasporti alle costruzioni per finire al manifatturiero. Il rovescio della medaglia? Chiama ancora in causa gli smartphone e l’industria tecnologica nel suo complesso. Una ricerca (“Assessing Ict global emissions footprint: trends to 2040 & recommendations”) a firma della canadese McMaster University, pubblicata nel 2018, ha calcolato infatti che l’impatto ambientale del settore Ict su scala globale passerà dal 3,5% atteso per il 2020 al 14% stimato per il 2040. E la quota di emissioni nocive relative ai telefonini salirà all’11% entro la fine di quest’anno (dal 4% del 2010), per circa 125 milioni di tonnellate di Co2 immesse nell’aria.