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 2020  ottobre 29 Giovedì calendario

Intervista a Franco Morbidelli

Dal casco colorato spunta il codino. Sventola come uno stendardo ribelle. La visiera nasconde un sorriso dolcissimo. Furia da MotoGp e tenerezza dell’anima. Franco Morbidelli ha 26 anni, allievo primo e prediletto di Valentino. Ha vinto ad Aragon, domenica scorsa, dopo aver vinto a Misano. È lui la sorpresa più bella di questa stagione motoristica. Inattesa e felice, al pari di una storia umana costruita sulla sofferenza. «Adesso sì, al titolo ci penso e ci credo. Sono sotto di 25 punti, mancano tre gare. Dovrei trattenermi se penso alle difficoltà che ho di fronte. Ma ora la mia determinazione è forte, mi spinge a non rinunciare».
Ha raccontato di aver corso in uno stato di grazia magico e perfetto. La frase porta ad Ayrton Senna, il suo profondo misticismo...
«Non sono religioso come Senna. Si tratta piuttosto di razionalità. Di un livello assoluto di concentrazione che perseguo con tutto me stesso. Il benessere interiore serve per raggiungere una condizione mentale accurata. Tutto si allinea. Ma ho bisogno di tempo. E di calma».
Ma come? Corre ad altissima velocità e parla di lentezza?
«Per me si tratta di rispettare una natura. Se forzo va peggio. Devo lavorare secondo il mio sentire. Mi aiuta. Divento più veloce se mi prendo il tempo che serve».
Un Mondiale senza Marc Marquez. È una opportunità che nessuno sembra cogliere. Come mai?
«Marquez è un padrone assoluto. La sua assenza ha dato fiducia a tutti. Ha sparso coraggio. Questo comporta lottare tra piloti mossi da volontà e ambizione in un contesto più aperto dove ogni errore pesa. Passi dal primo all’ottavo posto in un istante».
Marquez, ecco. Cosa prova nei confronti del padrone?
«Ammirazione no. Ci sono aspetti del suo fare che non mi piacciono. Rispetto di sicuro. È bravissimo. È irraggiungibile? Niente affatto».
Il suo compagno Quartararo sembrava destinato alla successione. Correre al suo fianco è un peso?
«Uno stimolo. E un peso. Non riuscivo ad avvicinarmi a lui e questa condizione mi ha aiutato ad esplorare lati del mio carattere che non conoscevo».
Padre romano, Livio; mamma brasiliana, Cristina. Trasferito da ragazzino a Babbucce, due passi da Tavullia, per diventare un campione. Le radici dove stanno?
«Amo il Brasile ma non sono fatalista. La mia sorte dipende da ciò che determino giorno per giorno. Poi sono un mix. Razionalità italiana, gioiosità sudamericana. E mi arrabbio da romano».
Suo padre si è tolto la vita nel 2013. Possiamo parlarne?
«È stato il fatto più forte e scioccante della mia vita. Ho reagito guardando avanti, mi sono rimboccato le maniche e mi sono detto, forza, lavora, cammina».
Cita spesso Valentino Rossi come una figura fondamentale. È stato una specie di secondo padre?
«Direi più uno zio. La persona che più ammiro e alla quale devo tantissimo. Dopo la morte di mio padre mi chiuse in una stanza e disse: se hai bisogno, sono qui. Mi ha insegnato, aiutato, ispirato. Lui e Carlo Casabianca, preparatore atletico. Forse Carlo ha svolto una funzione paterna. Poi c’è Francesca, la mia morosa. Eravamo a scuola insieme, mi accompagna con amore, senza paura. Le donne sono più forti di noi».
Con Rossi farete squadra in Yamaha nel 2021. La ferocia agonistica può mettere a rischio una amicizia?
«Ma no, Vale ed io conosciamo già questo argomento. Lottiamo, mi fa andare in bestia quando mi supera e lui prova sentimenti identici. Il bello e che siamo talmente amici da non nascondere nulla. La rivalità avvicina. Siamo due personalità che stanno bene insieme. La nostra è una unione molto più forte di ogni antagonismo».
Rossi positivo al Covid. I rischi da Covid la spaventano?
«Mi rattrista. Spero che questa criticità unisca le persone. Lo sport aiuta, cercare di ottenere buoni risultati migliora la quotidianità. E se riesco a far bene penso di dare un piccolo contributo».
Valentino punta al decimo titolo, lei al primo. Su chi scommette?
«Oh, questa domanda è pericolosa. Posso evitarla? È una questione troppo scaramantica».