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 2020  ottobre 29 Giovedì calendario

I due giovani strateghi dietro Trump e Biden

Due quarantenni dirigono dietro le quinte la battaglia degli ultrasettantenni. Hanno due cose in comune: sono stati chiamati ai comandi nel momento più basso delle rispettive campagne per Donald Trump e Joe Biden; inoltre ambedue conoscono bene il territorio nei battleground States, quegli Stati-contesi dove si deciderà tutto.
Lui, il 42enne Bill Stepien, è il direttore della campagna elettorale di Trump da metà luglio, promosso dopo una serie di infortuni come un comizio semivuoto a Tulsa in Oklahoma e altre disavventure che affondarono il suo predecessore Brad Parscale (tra cui un uso disinvolto di fondi elettorali a fini personali e una relazione sentimentale con una favoritissima del presidente, l’ex modella Hope Hicks).
Lei, la 43enne Jennifer (Jen) O’Malley Dillon, è subentrata al timone dello staff di Biden a marzo, quando l’ex vicepresidente di Barack Obama sembrava condannato a una ritirata ingloriosa: la nomination gli stava sfuggendo di mano a gran velocità, la stagione delle primarie premiava Bernie Sander, Pete Buttigieg, Elizabeth Warren, tutti fuorché Biden. La sua resurrezione è relegata in un passato che sembra remoto, ma ebbe del miracoloso.
Il duello nascosto fra i due registi, Stepien vs Dillon, non si presta all’iperbole. I loro capi sono, ciascuno a modo suo, ingovernabili. Lo stratega inappellabile della campagna Trump è il presidente stesso, un carattere autoritario che licenzia i collaboratori alla velocità della luce, con l’unica eccezione dei familiari stretti: e di quella cerchia fa parte il genero Jared Kushner, la cui amicizia e collaborazione con Stepien è decisiva. In quanto a Biden, è più malleabile del suo avversario solo fino a un certo punto: è alla sua terza campagna presidenziale, al suo 47esimo anno di carriera politica, non un materiale umano plasmabile a piacimento. Però i due quarantenni sono preziosi per la sfida cruciale: quella che si gioca negli Stati operai del Midwest (Pennsylvania, Ohio, Michigan, Wisconsin), più Florida, Georgia, North Carolina, Arizona. I primi furono decisivi nel 2016, la Florida è decisiva quasi sempre.
Stepien era trentenne quando venne assoldato per la campagna Trump di quattro anni fa. Veniva da una lunga collaborazione con l’ex governatore del New Jersey, Chris Christie, di cui aveva gestito due campagne elettorali vittoriose, seguite da un divorzio aspro. Nel 2016 Stepien fu messo proprio a dirigere le operazioni di propaganda elettorale sul territorio negli Stati-contesi. «È un mostro nella gestione-dati», dissero di lui. Fu il blitz decisivo, quando Trump strappò per poche frazioni percentuali delle fasce di classe operaia che avevano votato per Barack Obama ma si sentirono tradite da Hillary Clinton.
La O’Malley Dillon ha un percorso simile. Anche lei trentenne, lavorò per Obama nella campagna-capolavoro del 2008; anche lei ebbe la direzione dell’organizzazione territoriale nei battleground States. All’inizio di quest’anno la O’Malley Dillon era stata alla guida della campagna di Beto O’Rourke, l’ex deputato texano che si era candidato per la nomination democratica. La duplice esperienza con Obama e poi O’Rourke ha aiutato la giovane direttrice della campagna a tenere l’equilibrio di una strategia moderata, in questi mesi in cui il baricentro del partito sembrava spostarsi molto a sinistra. La O’Malley Dillon non dim entica cos’ha salvato Biden dal naufragio delle primarie: il voto degli afroamericani moderati, che gli tributarono un trionfo in South Carolina, ricordando al partito democratico che la middle class nera non è la stessa cosa di Black Lives Matter. L’ultima volta che abbiamo sentito la direttrice della campagna democratica, pochi giorni fa, è stato per un allarme: «La battaglia è molto più stretta e indecisa di quanto dicano i sondaggi».
Stepien è almeno altrettanto allarmato, o pessimista. Lo si deduce dalla mappa geografica degli ultimi comizi di Trump. Il presidente è iperattivo e questo sembra dargli una marcia in più nella gara dell’entusiasmo («Biden ha rinunciato alla vita», è la sua battuta sarcastica). Però i comizi di Trump si sono allargati dagli Stati-contesi fino ad alcune zone che dovevano essere saldamente repubblicane. Ha visitato almeno cinque Stati che aveva vinto nel 2016. L’impressione quindi è che il presidente stia giocando in difesa. Qualcuno rimprovera a Stepien il fatto che la campagna Trump è tutta “di opposizione": denuncia i danni che farebbe un presidente “socialista”, ma non ha un programma nuovo, anzi ripete la piattaforma elettorale del 2016. Questo però è puro Trump.