Il Sole 24 Ore, 29 ottobre 2020
Dati economici sul Covid
Andrea Garnero e Andrea GoldsteinDiverse le modalità, ma le tre principali economie dell’Eurozona si stanno rapidamente avviando verso un nuovo lockdown. Questo avviene quando Germania, Francia e Italia stavano timidamente rialzando la testa dopo il tremendo secondo trimestre dell’anno, in cui la produzione si è schiantata e solo l’introduzione di misure straordinarie (su tutte, la cassa integrazione e le iniezioni di liquidità) ha permesso di tenere la disoccupazione sotto relativo controllo. Quali le prevedibili conseguenze?
Ovviamente molto dipenderà dall’estensione temporale e settoriale delle misure di contenimento. Se dovessero essere applicate in maniera quasi chirurgica, rispettate alla lettera e restare in vigore solo per un mese, la contrazione dell’attività potrebbe essere limitata. Soprattutto, come sembra stia avvenendo in Israele (il condizionale è d’obbligo perché tutte le analisi si realizzano quasi in tempo reale), una volta rimosse le restrizioni si potrebbe tornare abbastanza rapidamente a una situazione di relativa normalità.
Ma questo è forse uno scenario idilliaco. Che sia perché si sono persi mesi preziosi per prepararsi adeguatamente, o perché la situazione ha tali caratteri di eccezionalità da rendere esiziale qualsiasi tentativo di programmazione, o perché interventi chirurgici sono facili in teoria e meno in pratica – fatto sta che è più realistico immaginare un lockdown ampio (anche se meno che in primavera) e duraturo. E forse anche confuso e pertanto imperfetto nella sua applicazione. In questo caso si riproporrebbe la situazione del doppio shock su domanda e offerta e di arresto improvviso delle catene di fornitura. Certo, le fabbriche in Cina hanno ripreso a produrre a pieno ritmo, ma il trasporto internazionale è ben al di sotto della sua normale operatività e i noli marittimi sono cresciuti, quindi è facile prevedere nelle prossime settimane un ulteriore crollo del commercio mondiale.
Sarebbe meglio quindi provare a convivere con la pandemia ed evitare nuove restrizioni per salvare un po’ di Pil? Non è così scontato, come ha ripetuto il presidente francese Emmanuel Macron nel suo discorso di ieri sera. Le somme saranno tirate alla fine, ma nella prima ondata abbiamo visto che i Paesi che hanno adottato restrizioni più limitate non hanno avuto performance economiche molto migliori degli altri. Per esempio, tra marzo e aprile in Svezia, dove come è noto le restrizioni sono state molto limitate, i consumi sono diminuiti di circa il 25%, e di soli 4 punti percentuali in più in Danimarca, dove invece le restrizioni sono state molto severe. La comparazione tra i due Paesi nordici è suffragata anche da un numero crescente di analisi econometriche più generali, tra cui quella del Fondo monetario internazionale che nel suo World economic outlook di tre settimane fa ha mostrato come, anche in assenza di lockdown o altre misure di restrizione per legge, basti la paura del contagio a spingere le persone a chiudersi in casa, con conseguente crollo dell’attività economica. Meglio, quindi, secondo il Fmi, un blocco rigoroso per un periodo più breve invece di un blocco leggero, ma prolungato.
Come se tutto questo non bastasse, in questi ultimi mesi si accavallano almeno due eventi politici dall’esito incerto.
Il primo è la settimana prossima: è possibile che le elezioni americane non si concludano come (quasi sempre) con un verdetto chiaro nella notte tra martedì e mercoledi, ma si prolunghino per giorni o settimane tra riconteggi, denunce e ricorsi (e magari violenze). Se tutto ciò avvenisse i mercati finanziari non potrebbero che reagire con un crollo e l’aumento della volatilità. Rendendo ancora più difficile il compito dell’Eurotower dato che, paradossalmente, una crisi politica a Washington potrebbe spingere la domanda per asset sicuri come... i titoli di Stato americani!
Il secondo evento è la Brexit. I negoziati tra Bruxelles e Londra hanno sempre di più le sembianze di una partita di poker di modesto livello, in cui non abbonda né il buon senso di guardare agli obiettivi di medio periodo, né la buona fede e il rispetto della parola data. Il tempo stringe, però, le posizioni sulla fondamentale questione dei diritti di pesca nel Mare del Nord restano distanti e il rischio di una Brexit senza accordo cresce. Senza recitare nella sua integralità la lunga litania di problemi che potrebbero sorgere – da aerei che volano alla cieca, a medicinali senza principi attivi, passando per le scogliere di Dover che si sgretolano sotto il peso dei Tir costretti a interminabili controlli doganali – è ovvio che in questo momento l’economia europea ha già abbastanza problemi di suo.