Il Messaggero, 29 ottobre 2020
Storia della stretta di mano
Una delle più antiche a noi note è la stretta di mano fra un re assiro e un re babilonese che nell’850 a.C. gli aveva chiesto aiuto per soffocare una rivolta: la scena figura sul pannello frontale della pedana del trono del sovrano assiro ed è conservata al museo di Baghdad. Un’altra remota stretta di mano vede scolpite in un bassorilievo le dee Era e Atena, testimoni della riconciliazione fra le città di Samo e Atene, di cui erano le rispettive divinità protettrici. Più recente il reperto pittorico, rinvenuto all’interno dell’area archeologica di Ostia Antica, nella necropoli di Porto, che mostra due personaggi tenersi teneramente per mano. È un esempio, fra i tanti dell’iconografia classica e cristiana, di quell’unione delle destre fra coniugi (dextrarum iunctio inter coniuges) che era il simbolico epilogo di una cerimonia nuziale in età romana. Il gesto è riprodotto soprattutto in monumenti funebri realizzati tra la fine dell’età repubblicana e il VII secolo, a ribadire una fedeltà coniugale da proiettare oltre la morte.
LA LETTERATURANeuroscienziati, psicologi del comportamento ed esperti di relazioni sociali, specialisti nel campo del linguaggio del corpo e dell’educazione alla leadership hanno abbondantemente descritto la stretta di mano, nella letteratura in lingua inglese, a partire dagli anni Ottanta. Un po’ di anni fa Gayle Westmoreland, pedagogo e imprenditore, prima in un libro rivolto agli americani (Hands: Stop Skaking Them! A Cultural Shift to End Handshaking in America, Vantage Press, 2007) e poi in un secondo volume, di lancio a una campagna globale (Dangerous Hands: Shake the Handshake!, Maple Creek Media, 2013), l’ha giudicata pericolosa e antigienica, incitando ad abbandonarla.
Da noi aveva già provveduto il Ventennio. Il Duce, ritenendo la stretta di mano il prodotto di un certo conformismo borghese, aveva spinto per la sua sostituzione col saluto romano e alla fine degli anni Trenta, in una frase riprodotta sul frontespizio di un Foglio di disposizioni del luglio 1938 del Partito nazionale fascista, aveva consacrato così la sua scelta: «Anche le strette di mano sono finite presso di noi: il saluto romano è più igienico, più estetico e più breve».
Trilussa, in un sonetto degli anni Venti (La stretta de mano), ci aveva scherzato su: «Quela de da’ la mano a chissesia, / nun è certo un’usanza troppo bella: / te pô succede ch’hai da strigne / quella d’un ladro, d’un ruffiano o d’una spia. / Deppiù la mano, asciutta o sudarella, / quanno ha toccato quarche porcheria, / contiè er bacillo d’una malatia, / che t’entra in bocca e va ne le budella». Il 3 febbraio 2020 Ignazio La Russa, in un post ironico sul virus che avrebbe poi subito rimosso, ha seguito a suo modo la scia del poeta romanesco: «Non stringete la mano a nessuno, il contagio è letale. Usate il saluto romano, antivirus e antimicrobi».
LE RISCOPERTEIntanto, un po’ ovunque nel mondo, si è corsi ai ripari per individuare valide alternative alla vecchia stretta. In un video su Twitter l’attore, regista e produttore indiano Anupam Kher, star di Bollywood, ha raccomandato il namasté: si uniscono i palmi delle mani, rivolti verso l’alto in forma di preghiera e si piega leggermente la testa. Il gesto, tradizionale in India, in Nepal e in altri paesi asiatici, ha condiviso ultimamente le sorti di altri gesti inventati o rispolverati per l’occasione: le mani giunte con tanto d’inchino, una pacca sulla spalla (Australia) o un bel toccaculo (Iran); uno sguardo reciproco, suggerito dal francese Philippe Lichtfus, maestro di bon ton, o il pugno contro il proprio palmo, un gesto consuetudinario in Cina (gong shou, consigliato dalle autorità di Pechino durante l’emergenza); il pugno contro pugno (fist bump), come quello tra l’ex presidente americano Barack Obama e l’attivista svedese Greta Thunberg.
RACCOMANDAZIONIC’è poi il piede contro piede, diffusosi inizialmente a Wuhan, focolaio cinese dell’epidemia (Wuhan shake), ma nel 2018 reso già popolare su Tik Tok da un balletto (Foot shake dance challenge) eseguito, con l’esplosione della pandemia, con coreografie sempre più elaborate. Infine il palmo (o il pugno) destro sul cuore, che lo scorso settembre, onde evitare qualunque contatto, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha consigliato di sostituire al gomito contro gomito, adottato in un primo tempo anche dalle più alte cariche politiche e istituzionali dal nostro premier ai reali inglesi e balzato alle cronache in altre recenti crisi sanitarie, da ebola all’aviaria. Il gomito contro gomito vanta un curioso precedente cinematografico. In una scena di Frankenstein Junior (1974), il film migliore di Mel Brooks, lo scienziato (Gene Wilder), in procinto di prendere un treno per New York, saluta in questo modo alla stazione la sua fidanzata. Lei è in ghingheri, e non vuol essere sciupata.
Massimo Arcangeli