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 2020  ottobre 28 Mercoledì calendario

Il «razzismo» di Borat ora piace al Kazakistan

«In Kazakistan i nostri hobby più diffusi sono la disco-dance, il tiro con l’arco, lo stupro e il ping-pong». Certi popoli, basta molto meno per urtarli. E tutto sommato i kazaki caricaturati da Sacha Baron Cohen nei panni di «Borat», il finto giornalista postsovietico inviato in America con la sua valigia di razzismo e ignoranza, dal 2006 a oggi s’erano sempre limitati all’invettiva: dando all’attore dello xenofobo, minacciando cause per vietare la distribuzione del film, bannando i siti che lo rilanciavano. Solo una volta era scattata la protesta diplomatica, a una manifestazione sportiva in Kuwait, quando all’alzabandiera era risuonata per sbaglio la sigla di Borat, anziché l’inno nazionale kazako. Dopo 14 anni, tutto è perdonato. E ora che sta uscendo il sequel, il governo kazako s’è fatto più furbo. Invece d’arrabbiarsi di nuovo, ha preparato quattro spot di promozione turistica – splendide vallate, buon cibo, moderne architetture – e scelto come claim proprio la battuta tormentone del film: «Very nice!», molto bello. «Abbiamo cercato di trarre vantaggio da questo trauma», spiega il Kazakh Tourism, l’ente statale che per l’occasione ha ascoltato un creativo americano: «È difficile, quando vai in giro per il mondo e ti conoscono solo per le battute di Borat. In tempi magri di Covid, c’era da sfruttare in qualche modo quest’enorme pubblicità. Dimostrando che il Kazakistan è un bel Paese, checché ne dica Borat». Il politicamente scorrettissimo del comico inglese funziona e i turisti, «very nice», in questi anni sono decuplicati. Ma gli spot non piacciono a tutti: su YouTube c’è un video di madri kazake intente a bruciare un’effigie di Borat ed è pronta una petizione popolare per vietare anche il secondo film. Fa rabbia che il comico sia stato invitato ad Almaty, per girarne un terzo. «Ho scelto il Kazakistan perché era un posto che nessun americano conosceva, ma il vero Kazakistan è il contrario di quello raccontato da Borat», dice Sasha Baron Cohen: e la vera tristezza, in quest’epoca permalosa, è un comico che deve spiegare le sue battute.