Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  ottobre 27 Martedì calendario

Intervista a Valerio Lundini, il fenomeno tv del momento

Valerio Lundini ha l’aria di quello che quando arriva a una festa inciampa nel tappeto, fa cadere il vassoio al cameriere e scambia il padrone di casa per il guardarobiere. In tv, nel programma che porta il suo nome e la firma d’autore del veterano Giovanni Benincasa Una pezza di Lundini, lunedì, martedì e giovedì in seconda serata su Rai2 – gioca a fare il conduttore inadeguato: giacca, cravatta, occhiali e la battuta sbagliata al momento sbagliato, con la complicità più o meno sofferente dell’ospite di puntata (già passati in studio, tra gli altri: Andrea Delogu, Calcutta, Sandra Milo, Nino Frassica) e i monologhi taglienti della sodale Emanuela Fanelli. Una formula che, nel giro di una ventina di serate, ha trasformato l’ex fumettista e tastierista romano di 34 anni già spalla comica al sanremese L’AltroFestival – nel nuovo fenomeno satirico della tv italiana. 
Si aspettava di piacere? 
«Pensavo che avrei diviso di più. Mi aspettavo una frangia di detrattori. Invece sembra che piaccia a tutti». 
Cosa sta funzionando? 
«Non saprei. Io faccio le cose che mi fanno divertire da sempre. È lo stesso linguaggio che usavo a L’AltroFestival. Ho a disposizione tante puntate, che durano poco e sono piene di cose: se faccio lo strano, e non funziona, posso rifarmi alla puntata dopo. Nessuno mi ha mai chiesto di cambiare qualcosa perché non si capisce. Nessuno mi ha mai chiesto di scendere a compromessi». 
E se glielo chiedessero? Lo farebbe? 
«Non credo. Non ho mai subito la pressione di dover piacere a tutti i costi. Non faccio questo mestiere per raggiungere le masse o farmi riconoscere per strada. Non ho mai nemmeno pensato di fare questo lavoro». 
Oggi qual è il suo lavoro? 
«Fare il matto. Se non lo facessi in tv, elemosinerei ai semafori facendo finta di saper fare il giocoliere». 
Come è arrivato in Rai? 
«Mi sono iscritto a Giurisprudenza e l’ho lasciata dopo tre anni. Poi ho studiato Lettere e ho preso una laurea inutile. Suonavo con la band, ma non mi ci vedevo a caricarmi gli amplificatori sulle spalle fino a sessant’anni. Il fumetto mi piaceva, ma non sono il tipo che disegna giorno e notte. Il lavoro più stabile, alla fine, è diventato quello da autore: scrivevo racconti, mi esibivo dal vivo». 
La svolta? 
«Un iter graduale. Prima i programmi in radio con Nino Frassica e Lillo e Greg. Poi Benincasa mi ha chiamato per fare Battute! Ero terrorizzato all’idea di dover scherzare sui temi di attualità. A malapena so chi c’è al Governo». 
Per questo non fa satira politica? 
«Ho le mie idee, confuse, ma non voglio diventare l’ennesimo Renzi contro Salvini. Ho avuto un’adolescenza logorata da comici che parlavano solo di Berlusconi, al punto di farmelo stare più simpatico di loro». 
Non salva nessuno? 
«Corrado Guzzanti. Non mi piace chi nota i difetti dei politici, ma chi ride di quelli degli elettori. Io i miei difetti li metto in scena». 
Il suo disagio: ci fa o ci è? 
«Il disagio è il mio carburante. Per esempio sono a disagio per il nome del mio programma, mi sembra egoriferito. Non l’ho scelto io. Ogni volta che entro negli studi Rai e dico dove vado, provo un imbarazzo indicibile».
Cosa la fa ridere? 
«Il cinema di Mel Brooks e in generale tutto il cinema demenziale americano. Mi piace l’umorismo non dichiarato, un po’ serio, alla Lillo e Greg. O surreale come quello di Nino Frassica». 
Il programma: quanto è scritto e quanto improvvisato? 
«Alcune cose sono scritte, ma non imparo mai il copione a memoria. Ci sono parti che vengono sempre improvvisate: all’inizio della puntata, quando devo dare il benvenuto, vado a braccio. Le interviste le preparo quasi tutte». 
Sogni: che ospite vorrebbe? 
«Mi piacciono quelli lontani dal mio mondo, di cui non so praticamente nulla. I calciatori per esempio. Con loro il mio disorientamento è totale. O istituzionali, alla Bruno Vespa».
Ha ricevuto qualche rifiuto? 
«Una volta un personaggio molto istituzionale, di cui non posso fare il nome, mi disse: verrei, ma non ho il minimo senso dell’ironia. Io stesso, al posto suo, non ci sarei andato. Sarebbe finita malissimo».