Corriere della Sera, 27 ottobre 2020
Come nacque il Regno del Mezzogiorno
Il Mezzogiorno italiano, così come grosso modo lo intendiamo ancora oggi, è venuto alla luce nel 1130. A Palermo. Fu a Natale di quell’anno che, per la prima volta nella storia, un antipapa, Anacleto II, incoronò re Ruggero il normanno, figlio di Ruggero d’Altavilla, re della Sicilia stessa, oltreché di Puglia, Calabria e Capua. Glauco Maria Cantarella nel libro Ruggero II, in procinto di essere pubblicato per i tipi della Salerno, mette in evidenza la centralità della Sicilia all’origine di quel processo storico. Processo storico che portò alla nascita di quel regno dell’Italia meridionale che, con l’inclusione di Napoli, avrebbe vissuto da Stato per oltre sette secoli. Vale a dire fino all’impresa dei Mille di Giuseppe Garibaldi. Negli anni successivi al 1860, però, quell’entità – nella considerazione di storici, sociologi, economisti – è in qualche modo sopravvissuta, quasi fosse a sé stante, fino ai giorni nostri. Come ha ben spiegato Claudia Petraccone in Le «due Italie». La questione meridionale tra realtà e rappresentazione (Laterza).
La storia aveva avuto inizio il 13 febbraio di quello stesso anno (1130) alla morte di Lamberto Scannabecchi da Fagnano che era stato eletto Papa nel 1124 e aveva preso il nome di Onorio II. Tre anni prima di morire, nel 1127, papa Onorio aveva provato a contrastare gli evidenti disegni espansivi di Ruggero che, raccolta l’eredità del duca Guglielmo di Puglia, si era fatto nominare duca di Salerno. Ruggero, come ha messo in evidenza Hubert Houben in Ruggero II di Sicilia. Un sovrano tra Oriente e Occidente (Laterza), precedentemente aveva proiettato le sue mire sulla regione nordafricana di Mehedia ma, non essendo riuscito nell’impresa di fondare lì un regno siciliano, dirottò le proprie attenzioni sulla Puglia. Vinse battaglie in Calabria, Lucania, a Benevento, infine in Puglia e nel 1128 Onorio II fu costretto a concedergli il titolo di duca. Ma papa Onorio, che di lì a breve sarebbe morto, non aveva predisposto un disegno per la propria successione. Così quando morì, oltretutto dopo un’agonia durata mesi, esplose un violento conflitto tra la famiglia dei Pierleoni e quella dei Frangipani. Questi ultimi furono rapidissimi e nominarono Papa un uomo a loro vicino, Gregorio Papareschi (che prese il nome di Innocenzo II). I Pierleoni, sostenuti da un numero di cardinali più corposo di quello degli avversari, risposero elevando al soglio pontificio uno dei loro, Pietro, che assunse il nome di Anacleto II.
L’elezione di Innocenzo II, racconta Cantarella, era stata fatta di nascosto «per mettere tutti di fronte al fatto compiuto». Quella di Anacleto invece fu fatta in pubblico. Elezioni, sottolinea Cantarella, «arbitrarie entrambe», che suscitarono intensissime discussioni nel mondo ecclesiastico. Le due nomine, di Innocenzo e di Anacleto, avevano dietro di loro «una buona dose di illegittimità» e tentarono di legittimarsi invocando il principio della «parte più sana» (Frangipani) e quello della «parte più ampia» (Pierleoni). Innocenzo disse cioè che i «suoi» cardinali erano gli unici ad aver titolo per compiere la scelta di nominarlo Papa. Anacleto che i «suoi» cardinali erano ugualmente titolati ed erano di più. Molti di più. Quanto ai cardinali che in quel frangente non erano presenti a Roma si divisero tra simpatizzanti per l’uno e per l’altro, ma anche qui con una leggera prevalenza dei sostenitori di Anacleto. Tutto, scrive Cantarella, «era stato irrituale da parte di tutti». Ne fu diretta conseguenza «un inferno che si protrasse per otto lunghi anni».
L’antipapa Anacleto si era nel frattempo alleato con Ruggero attribuendogli, come s’è detto, la sovranità sull’intero Sud italiano. Natale 1130. «Concediamo, doniamo e autorizziamo te, tuo figlio Ruggero, agli altri tuoi figli che dovessero nascere nel regno secondo l’ordine da te istituito e ai loro eredi», recitava il testo della donazione, «la corona del regno di Sicilia, Calabria e Puglia e di tutta la terra che tanto noi quanto i nostri predecessori ai tuoi predecessori nominati duchi di Puglia, Roberto il Guiscardo e Roberto figlio suo, abbiamo dato e concesso; e di avere in perpetuo come signore lo stesso regno, l’intera dignità regia e i diritti regali… E istituiamo la Sicilia capo del regno». Cosa è che rende legittima (almeno in parte) la donazione? Il Papa (in questo caso antipapa), spiega Cantarella, «fa dono della corona regale perché può farlo, perché essa è sua, perché il nuovo regno è suo, dal momento che lui lo inventa». Proprio così: Anacleto inventa il Regno del Sud. Nessun infingimento, prosegue l’autore: il regno dell’Italia meridionale viene «donato» a Ruggero e ai suoi successori perché la sua proprietà, «la proprietà di inventarlo», sta e resta nelle mani del Papa. È evidente che Anacleto si comporta non da Papa debole, incerto dei propri destini, «disposto a tutto pur di avere un alleato, anzi un vassallo potente temibile e temuto», bensì «da Papa nella pienezza della sua autorità», da vincitore. O, meglio, convinto che sarebbe stato il vincitore nella grande partita dello scisma. Cantarella rileva il più che probabile «imbarazzo» di Ruggero nel «dover riconoscere che non è re per grazia di Dio, ma per grazia del Papa». Ruggero però non si fa scrupoli: «Pur di avere la corona regia, lui, figlio di una regina sposato con la figlia di un’altra regina, accetta di inghiottire questa pillola dal retrogusto amaro».
Gli eventi sembrarono dapprincipio dar torto ai calcoli di Ruggero. Nel senso che il vento parve andasse a gonfiare le vele del rivale di Anacleto, il Papareschi. Bernardo di Chiaravalle si pronunciò a favore di Innocenzo. E così anche Norberto di Xanten, arcivescovo di Magdeburgo. Poi fu la volta di re Lotario che aiutò il Pontefice dei Frangipani ad entrare a Roma (anche lui chiese qualcosa in cambio: l’incoronazione a imperatore). La Città Leonina con Castel Sant’Angelo rimase però nelle mani di Anacleto, sostenuto da Ruggero, il quale resistette e alla fine ebbe la meglio su Innocenzo II. Costringendolo ad allontanarsi dalla città e a rifugiarsi a Pisa. In quell’occasione Innocenzo perse persino l’appoggio dei Frangipane e fu l’inizio della sua rovina. Di qui il suo odio nei confronti del sovrano normanno che gli aveva impedito di restare a Roma, come messo ben in risalto da Francesco Paolo Tocco in Ruggero II. Il Drago d’Occidente (Flaccovio). Ma le sorprese non erano finite. Nel 1138 Anacleto morì e la partita si ribaltò nuovamente. L’anno successivo, Innocenzo pensò fosse giunta l’ora di vendicarsi di Ruggero e mosse contro di lui. Una mossa azzardata. L’esercito di Innocenzo II fu sbaragliato dalle truppe di Ruggero e lo stesso Pontefice venne fatto prigioniero. Papa Innocenzo a quel punto trattò e fu poi rilasciato in cambio del riconoscimento pontificio del titolo «donato» da Anacleto. Così, trascorsi dieci anni da quel 1130 di cui s’è detto all’inizio, il regno dell’Italia meridionale fu definitivamente «consacrato», con il riconoscimento di un Papa legittimo e perciò della Chiesa tutta. Quel regno avrebbe avuto una vita assai lunga, fino al 1860. Uno scisma interno alla Sede Apostolica fu dunque, scrive Cantarella, «l’albero motore, involontario, della storia del Mezzogiorno per i successivi 730 anni».
Che cosa ha fatto Ruggero mentre i Papi lottavano tra loro? Nel 1130 il trentacinquenne Ruggero convoca a Salerno principi, conti, baroni del regno che sta per costituire per annunciare che la capitale resterà a Palermo. È ben consapevole che questo è un favore a tutti i vassalli della penisola. Come se dicesse loro: che io sia re o che non lo sia, nella pratica non cambierà niente. A questo punto Ruggero può tornare finalmente a Palermo, ma un fortunale lo fa naufragare sulla costa di Palinuro. Un segnale sinistro. Presto riprende la navigazione per la Sicilia. Giusto il tempo, però, per l’incoronazione a Palermo e Ruggero torna all’attacco sulla costa campana. Pretende da Amalfi la consegna delle fortificazioni e ottiene come risposta un secco no. È l’inizio di un nuovo conflitto. Ruggero prende con la forza Capri, Ravello, Amalfi stessa. Napoli non è un problema, il duca Sergio gliela consegna senza combattere (una modalità di resa che si ripeterà nei secoli successivi, fino a Garibaldi).
È più complicata con Avellino. Qui regna Riccardo dal castello di Mercogliano. Riccardo è fratello del potentissimo Rainolfo di Alife che ha sposato la sorella (o sorellastra) di Ruggero, Matilde. Ruggero pretende la resa. Al latore dell’ingiunzione di Ruggero viene tagliato il naso e vengono cavati gli occhi. Matilde fugge seduta stante dalla casa di Rainolfo e si unisce al fratello portando con sé il figlio. Rainolfo vuole indietro sia lei che il figlio. Ruggero gli risponde che contano solo i voleri di Matilde e la porta con sé (consenziente) in Sicilia. Rainolfo a quel punto, secondo Cantarella, era «conscio del fatto che la prossima volta che il re fosse tornato ci sarebbe stata la resa dei conti». Resa dei conti definitiva. Sicché si preparò ad una guerra che, sapeva in partenza, sarebbe stata tra le più difficili di tutta la sua vita. In privato e in pubblico Rainolfo «manifestava teatralmente quanto grande fosse l’ingiustizia che gli era stata arrecata, quanto cara gli fosse la moglie, ovviamente quanto tenesse a suo figlio». Forse era afflitto da un dolore autentico, ma è anche probabile che su di lui pesasse l’onta del ridicolo perché proprio lui era stato abbandonato dalla moglie e non era accaduto il contrario. Ma Ruggero resta in Sicilia per mesi e mesi, undici tra la metà del 1131 e gli inizi del 1132. Concede a Rainolfo il tempo per stringere alleanze con tutti gli antiruggeriani del regno: Riccardo, il fratello di cui si è detto, Tancredi di Conversano, Grimoaldo principe di Bari.
Nel maggio 1132 Ruggero sbarca a Taranto e va deciso all’attacco. Il primo ad abbandonare il fronte dei ribelli e ad unirsi a lui è Goffredo conte di Andria. Poi Ruggero assedia la Bari di Grimoaldo che cade nel giro di tre settimane (Roberto il Guiscardo ci aveva messo tre anni ad espugnarla). Grimoaldo viene mandato, prigioniero, in Sicilia. A quel punto Tancredi di Conversano si arrende, consegna al re per venti monete d’oro tutte le terre che controlla e si impegna a partire per la Terrasanta. Ma il 25 luglio tra Ariano, Avellino e Nocera, Ruggero subisce una sconfitta militare devastante. Sconfitta che però secondo Cantarella è meno catastrofica di quanto appaia ai cronisti dell’epoca. Il re si rifugia a Salerno. I suoi nemici, tra i quali esce sempre più allo scoperto Roberto di Capua, si ringalluzziscono sì, ma sono incapaci di elaborare una strategia vincente che consenta di mettere a frutto la loro iniziale vittoria. Ruggero recupera Bari che è in rivolta ed espugna Benevento. Poi fa sue una serie di postazioni minori (ma assai significative) e quando ritiene di essersi decisamente rafforzato, in dicembre (sempre del 1132), torna in Sicilia. Prende tempo.
Fino a quando, nel maggio del 1133 raduna un consistente esercito e passa lo stretto. Ed inizia, scrive Cantarella, «una delle campagne militari più sistematiche della storia; violentissima, capillare, metodica». Contro i nemici rimasti in piedi, Ruggero è spietato. Scrive Falcone Beneventano (che, assieme ad Alessandro di Telese, è una delle principali fonti documentarie sul sovrano): «Giuro su Dio che si accanì con tanta crudeltà contro quei Cristiani quanto non si era mai sentito in precedenza … nemmeno il crudelissimo imperatore Nerone ha mai fatto tanta strage di Cristiani».
A questo punto Ruggero riprese il progetto africano: Affidata la flotta all’ammiraglio Giorgio d’Antiochia conquistò Gerba (1135), Tripoli (1136), Susa, Sfax, Gabes; strappò ai bizantini Corfù (1147), cinse d’assedio Costantinopoli (1149) costringendola a rinunciare ad ogni mira sull’Italia meridionale. In quello stesso 1149 aiutò papa Eugenio III a rientrare a Roma e a domare l’insurrezione di Arnaldo da Brescia. Morì nel 1154. La sua visione politica lo aveva indotto a ritenere che solo regnando sul Mediterraneo, controllandone le coste anche sul versante africano, avrebbe costruito uno Stato in grado di reggere. Nell’immediato e nei secoli successivi. Ma il sogno africano di Ruggero iniziò ad infrangersi sei anni dopo la sua morte, nel 1160. Successivamente il Regno del Sud visse sì sette secoli ma non godé più della solidità di impianto che gli aveva dato il sovrano normanno.