La Stampa, 26 ottobre 2020
Riecco i lupi, boom di segnalazioni
Il lupo che attacca il gregge fa il suo mestiere di predatore, ma sull’altro fronte di questo duello vecchio come il mondo ci sono i pastori, che si ritrovano a contare le vittime degli assalti alle loro pecore: «Noi perdevamo in media 25 capi all’anno», racconta un’allevatrice maremmana. É una specie protetta dal 1971, da quando cioè la caccia indiscriminata lo aveva portato sull’orlo dell’estinzione, ma da allora il lupo è tornato a diffondersi lungo la dorsale appenninica e sulle Alpi occidentali: oggi se ne stimano circa 2.000 esemplari e, secondo i calcoli di Coldiretti basati su dati Ispra, solo negli ultimi cinque anni sarebbero aumentati del 20%.
Gli allevatori in prima linea si dividono in due gruppi ben definiti: quanti vorrebbero semplicemente che il lupo sparisse dalla circolazione e quelli che invece hanno imparato a conviverci, adottando le contromisure suggerite dal Wwf per proteggere il bestiame. Come Francesca Barzagli, proprietaria col fratello di un allevamento di 380 ovini da latte in Maremma, nel Grossetano: «Le nostre pecore sono libere al pascolo, una caratteristica di questi territori. Abbiamo problemi coi lupi dal 2012, quando sono iniziati i danni più grossi da predazione, con diversi attacchi e 25 bestie perdute in media ogni anno». La passione per questo lavoro difficile le è stata tramandata dai nonni, che si stabilirono qui negli Anni 30, e poi dai genitori. Ecco perché vedere le proprie pecore sbranate dai lupi era una sofferenza, oltre che un danno economico serio: «C’erano i capi uccisi, ma c’era pure lo stress inflitto al resto del gregge, con pecore gravide che abortivano e altre che perdevano il latte».
È andata avanti così finché, tramite il progetto Life Med Wolf, gli allevatori prima hanno allestito terreni recintati dove ospitare le greggi di notte, e poi si sono muniti di cani da pastore maremmani, fra i pochi a tener testa ai cugini selvaggi: «La situazione è migliorata notevolmente, nel 2019 c’è stato un solo attacco in cui abbiamo perso due capi. In questa zona gli avvistamenti sono continui, proprio in questo periodo i cuccioli escono dalle tane con le mamme che insegnano loro a cacciare». Francesca, con l’associazione Difesa attiva che riunisce 28 allevatori della zona, cerca di diffondere fra i pastori della Maremma una mentalità diversa nell’approccio ai lupi, scontrandosi con una mentalità tradizionale che vede in questo animale solo un nemico giurato di cui liberarsi. Impresa ardua, soprattutto in una provincia dove nel 2018 sono stati stimati 21 branchi da 4-5 esemplari l’uno.
Un altro territorio dove i rapporti sono particolarmente problematici è il Piemonte. Sergio Barone è titolare di un allevamento in Valsusa, in vista della Sacra di San Michele: «La scorsa primavera avevo 120 pecore ma ho dovuto venderne 20 per trovare spazio nella stalla, dopo due attacchi in cui ho perso 24 animali, fra quelli ammazzati sul momento e quelli che ho dovuto abbattere dopo a causa delle ferite». A chi gli raccomanda l’uso di cani da pastore, risponde che il gregge di un suo collega è stato assalito nonostante la presenza di due maremmani: «Inoltre questi cani vanno addestrati a essere socievoli con gli uomini, altrimenti possono attaccare anche loro, e qui intorno è pieno di turisti a spasso». Ricorda che nella vicina Francia «il pastore è autorizzato a sparare al lupo», invoca un’unica normativa che valga in tutta Europa e teme un’escalation delle aggressioni: «Ci sono stati anche casi di vitelli predati, forse quando arriveranno ad assalire anche i cani da compagnia le cose cambieranno. Io non dico che bisogna ammazzarli, ma il numero dei lupi va contenuto e loro vanno dissuasi dagli attacchi. Bisogna convivere alla pari, e invece manca la mentalità di difendere chi lavora nelle zone montane».
Un altro problema, sottolinea Coldiretti, è l’incertezza sul loro numero effettivo (ci sono solo stime), tanto che Ispra, su incarico del ministero dell’Ambiente, ha appena iniziato la «prima raccolta dati contemporanea mai attivata per stimare distribuzione e consistenza del lupo in Italia». Si concluderà a marzo e dovrebbe dare una fotografia finalmente attendibile della presenza e della dislocazione del principe dei predatori nella nostra penisola. Servirà anche a capire meglio il fenomeno degli ibridi, cioè gli esemplari nati dall’unione fra lupi e cani rinselvatichiti, il cui numero è ignoto ma che potrebbero essere qualche migliaio: sono anche più temuti dei lupi, perché hanno meno paura dell’uomo.