il Fatto Quotidiano, 26 ottobre 2020
Su "La voce delle Sirene" di Laura Pepe (Laterza)
Perché Ulisse, passando con la sua “nera nave” vicino all’isola delle Sirene, si fa legare all’albero? Perché non si mette, come i suoi compagni, la cera nelle orecchie per non udirne il fatale canto? Circe gli aveva detto: “Che nessuno degli altri le senta. Tu ascolta pure, se vuoi: mani e piedi ti leghino nella nave veloce, perché tu possa udire la voce delle Sirene e goderne”, e aveva specificato che le Sirene uccidono chi “ignaro s’accosta” a loro, cioè chi non sa nulla del loro potere.
È importante il contenuto di quel canto. Non si tratta solo di un suono di seduzioni marine, sfrigolamenti di branchie, melodie ultrasonore: le Sirene parlano. Lusingano Ulisse elencando le sue imprese, lo chiamano “grande gloria degli Achei”, promettendogli godimento e una conoscenza più profonda. Gli fanno intravedere un’altra vita, fatta di Eros e sapienza.
Ulisse si fa legare perché tutto questo sarebbe irresistibile, e ciò nondimeno deve conoscerlo.
Parte dalla seduzione di queste parole La voce delle Sirene. I Greci e l’arte della persuasione, il bel saggio di Laura Pepe (ed. Laterza), che dall’archetipo omerico della Peithó, che per i Greci era sia Seduzione che Persuasione, arriva alla Retorica, cioè all’arte di convincere l’uditorio per mezzo di pathos, suscitando emozione, di logos, ricorrendo ad argomentazioni logiche, e di ethos, cioè rispecchiando il carattere di chi parla, quando le orazioni venivano scritte dai “logografi”, e di coloro che ascoltano.
La seduzione è alla base della guerra di Troia, l’evento che fonda il mito e la civiltà occidentale; ma chi fu a sedurre chi: Paride o Elena? Il troiano figlio di Priamo seduce la moglie di Menelao, o è questa a indurlo al rapimento da cui scaturirà un conflitto di dieci anni? È stato lo sguardo di Elena (uno dei cui appellativi più ricorrenti è kynópis, “dall’occhio di cagna”) a sedurre Paride durante la cena in casa del re di Sparta, o entrambi sono stati sedotti dall’amore, cioè dalla volontà di Afrodite? Anche Circe e Calipso seducono Ulisse, allo scopo di fargli dimenticare la patria; lui si abbandona a questa seduzione, ma il suo intelletto e la sua nostalgia (letteralmente, “dolore del ritorno”) spaccano la malia (a dire il vero contro Circe Ulisse aveva assunto il moly, l’erba magica donatagli da Hermes per risparmiargli di essere trasformato in porco) e lo inducono a ritrovare Itaca e il letto di Penelope.
“Alla parola è connaturata una forza magica, psicagogica”, scrive Pepe; “essa può essere un incantesimo capace di impadronirsi dell’anima di chi ascolta; ma, soprattutto, può ingannare e illudere”. Tutto il mito è impregnato di questa forza magnetica e misteriosa: il rapporto degli dèi con gli umani è del tutto seduttivo. E perdura nei millenni: fa bene Pepe a citare il “cosmo di seduzione a getto continuo” di cui parla Gilles Lipovetsky, in cui siamo immersi oggi, dentro l’incantesimo consumistico.
Ma la seduzione ha strade infinite. Se con Pericle ogni cittadino di Atene poteva parlare nelle assemblee pubbliche e persuadere l’uditorio su quale fosse il bene per la polis (secondo il principio della isegorìa, la facoltà di tutti di parlare), con i demagoghi come Cleone la parola seduttiva diventa un inganno che corrompe la democrazia facendola degenerare in oclocrazia, il potere della massa.
La parte più bella del saggio è dedicata a Socrate. Sofista per Aristofane, che lo caricaturizza nelle Nuvole, Socrate è il seduttore per eccellenza, il tafano del cervello, l’unico uomo secondo Platone capace di operare la sintesi perfetta della parola logica e di quella erotica. Nel processo a suo carico nel 399 a.C., uno dei cui capi d’accusa è quello di corrompere i giovani, si difende scegliendo di non difendersi, rivendicando di aver agito sotto consiglio del suo demone e chiedendo, al posto della pena di morte pretesa dai suoi accusatori, un premio, richiesta che porterà la maggioranza a votare proprio per la sua morte. È in questa non-scelta la glorificazione della filosofia, più importante ancora della vita, a conferma che la seduzione può essere, al contrario di quel che suggerisce la sua etimologia, un allontanare e allontanarsi da sé allo scopo di servire la verità. Leggendo queste belle pagine mi è venuta in mente una coincidenza (che forse non è tale). Nel descrivere il rapporto tra Socrate e Alcibiade, suo giovane amante, Platone nel Simposio li mette seduti accanto in casa di Agatone, dentro la traiettoria perfetta degli sguardi. Alcibiade è il fulcro di un erotismo corsaro e sfrontato, a cui lo stesso Socrate, di vent’anni più anziano, guarda “come incantato”. Ma Platone fa parlare anche Alcibiade, il quale dice che Socrate è “tal quale quei sileni che si vedono nelle botteghe degli scultori, che gli artisti rappresentano con zampogne e flauti in mano; apertili, rivelano simulacri di divinità”, e aggiunge che non solo somiglia a un satiro, ma la sua voce soggioga: “Le sue parole incantano, fanno balzare il cuore il petto, fanno versare lacrime”. Per resistergli, a volte, deve tapparsi le orecchie con la cera, come Ulisse al cospetto delle Sirene.