Il Messaggero, 26 ottobre 2020
Smartphone addio, ci basterà il pensiero
Se ne riparla ogni sei mesi: il nuovo iPhone, l’ultimo Samsung pieghevole, Google che rilancia i Pixel, le difficoltà di Huawei o gli smartphone più o meno low cost degli altri colossi cinesi. Nonostante i processori più potenti, i design innovativi e gli schermi con diagonali crescenti però, il futuro della tecnologia non è destinato a stare nel palmo delle nostre mani. O almeno, non è destinato a starci nella maniera tradizionale. Il futuro infatti, sta nella scomparsa degli smartphone. A dimostrarlo il fatto che i colossi dell’innovazione mondiale stanno lavorando per dematerializzare la loro tecnologia e per fare in modo che restino solo i servizi. Negli scorsi giorni Amazon ha lanciato negli Stati Uniti il nuovo One, ovvero la possibilità di effettuare acquisti nei suoi negozi fisici Amazon Go tramite il palmo della propria mano. Null’altro. Né carte di credito, né smartphone né altri dispositivi indossabili. Basta registrarsi una volta passando il palmo su un dispositivo apposito perché un’intelligenza artificiale associ ai parametri biometrici la carta di credito indicata e crei un profilo che, a detta del colosso di Seattle, è inviolabile dal punto di vista della sicurezza. Non solo, nel lungo post sul blog con cui ha presentato One, Amazon prevede «di offrire il servizio anche a terze parti come rivenditori, stadi e uffici in modo che più persone possano beneficiare di questa comodità».
GLI INTERROGATIVI
Una rivoluzione in pratica che, al di là degli enormi interrogativi etici e di sicurezza che pone, traccia la strada verso la dematerializzazione. Un sentiero che non solo Elon Musk con le interfacce neurali di Neuralink sta provando a percorrere come di consueto a velocità folle per connettere direttamente cervello e computer (e ad esempio controllare un televisore con il pensiero); ma che anche Facebook sta esplorando. Mark Zuckerberg infatti, in collaborazione con Luxottica, ha da tempo dato vita a Project Aria, ovvero un piano di sviluppo che punta a portare servizi e connessioni lontano dalle nostre mani realizzando degli occhiali smart in realtà aumentata.
E proprio l’AR può essere la chiave di tutto. Dematerializzare infatti, per quanto in Italia evochi solo la mai compiuta transizione della pubblica amministrazione vero il 3.0, non significa solo togliere qualcosa per renderlo digitale, ma vuol dire soprattutto aggiungere informazioni in tempo reale. Se, infatti, oggi ancora non si può fare a meno del tutto di dispositivi come i visori per la realtà aumentata, «è possibile già dematerializzare cose che fino a poco tempo fa venivano necessariamente realizzate con oggetti fisici, ampliando le possibilità». A spiegarlo è Lorenzo Cappannari, ceo e co-fondatore di AnotheReality, azienda milanese che attingendo a un paradigma fino a qualche tempo fa caro solo al mondo dei videogame, si occupa di portare il web a due dimensioni fuori dagli schermi. «Lo facciamo con le esperienze per rendere più impattante il mondo della formazione o rivoluzionare per intero il marketing». Applicare questo paradigma tecnologico alla formazione ad esempio, consente di educare i lavoratori di un’azienda a situazioni difficili, garantendosi un processo di apprendimento adeguato.
LE POTENZIALITÀ
«Se ti metto un visore di realtà aumentata e ti butto in un incendio virtuale, sta sicuro che impari più facilmente a gestire l’eventualità rispetto ad una classica lezione in aula», spiega Cappannari che, dopo 15 anni da manager di diverse multinazionali (tra cui proprio Luxottica) ha dato vita al suo progetto folgorato dagli eterni incompiuti Google Glass. «Ancora oggi questi prodotti sono dei giocattolini – aggiunge il 42enne con un po’ di amarezza – ma con la giusta competenza aggiungono valore e creano nuove possibilità». Così, ad esempio, ad AnotheReality dematerializzano l’esperienza d’acquisto calando il cliente in un mondo virtuale. «Se devo comprare una canna da pesca – racconta, parlando di uno dei tanti progetti in piedi – e io ti permetto di provarne 10 a casa come se la stessi usando davvero, ne guadagnano i clienti ma soprattutto il brand e i fornitori di servizi». Questi ultimi soprattutto, potendo potenzialmente accedere ad ogni aspetto della quotidianità degli utenti immergendosi completamente e vedendo le stesse cose in contemporanea, avranno trovato una nuova miniera di dati da scavare. E no, non da remoto.