Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  ottobre 25 Domenica calendario

Intervista a Mila Askarova

Mila Askarova è nata e cresciuta in Azerbaijan, prima di stabilirsi a Londra nel 2002. Dopo essersi laureata alla London School of Economics in Relazioni internazionali, ha proseguito i suoi studi a Central Saint Martins e Christie’s, approfondendo le sue conoscenze nei campi dell’arte contemporanea, della curatela indipendente e del mercato dell’arte. In seguito ha lavorato nel reparto sviluppo clienti di Sotheby’s. Ha fondato a Mayfair la Gazelli Art House come spazio aggiuntivo per la sua Baku Gallery nata nel 2003.
Mila, che tipo di famiglia è la sua?
«Il mio prozio è stato il primo ad avere una galleria a Baku negli Anni 50. Mia madre è un medico e mio padre lavora nell’aviazione. Sono nata a Baku; quando avevo sei anni la nostra famiglia si trasferì a Istanbul. A 15 anni sono arrivata a Londra. Mi sono sempre interessata dell’arte, soprattutto mi piaceva l’aspetto commerciale. Volevo sostenere artisti non ancora riconosciuti dal mercato. Pensavo a uno spazio permanente, per questo nel 2012 abbiamo aperto la Gazelli Art House».
Perché si chiama Gazelli?
«Mia madre ha aperto Gazelli Cosmetics, la prima azienda di cosmetici in Azerbaijan che utilizza solo ingredienti locali. L’Art House è il ramo artistico di Gazelli».
Ha trovato molti clienti?
«Giovani, principalmente europei, e alcuni americani. Il punto decisivo è stata l’apertura dello spazio permanente a Mayfair, dove c’era la vecchia Richard Green Gallery».
Non è stato un po’ pretenzioso aprire vicino, ad esempio, alla galleria Thaddaeus Ropac e Robilant & Voena, dato che lei e gli artisti che stava esponendo eravate degli sconosciuti?
«Ingenuità giovanile. È stato un inizio non tradizionale, ma dopo cinque anni siamo riusciti a stabilire una certa fiducia e ora, quasi al nostro decimo anno, ci sentiamo sistemati. Ma ci sarà sempre scetticismo nei confronti di giovani ambiziosi o galleristi che spuntano dal nulla».
In un mercato fatto principalmente da aste, c’è un piccolo numero di gallerie che hanno artisti di grande valore, come Anselm Kiefer e Georg Baselitz per Thaddaeus Ropac, o Urs Fischer e Mark Grotjahn per Larry Gagosian. Chi acquista artisti meno conosciuti?
«Siamo sempre rimasti in contatto con il nostro gruppo originale di giovani collezionisti, ma avere base in questo quartiere ci ha permesso di entrare in contatto con collezionisti che preferiscono gli artisti che ha appena menzionato. Cinque anni fa, abbiamo iniziato a creare mostre storiche a tema. La prima è stata dedicata al movimento californiano Light and Space, con artisti come DeWain Valentine e Mary Corse. Poi abbiamo esplorato l’Independent Group, con artisti come Eduardo Paolozzi e Derek Boshier, e più recentemente abbiamo allestito una mostra della scuola Absheron dell’Azerbaijan con importanti maestri azeri: Ashraf Murad e Farkhad Khalilov. Perché gli artisti più recenti fossero apprezzati dovevamo anche mostrare nomi più conosciuti».
Come sono gli artisti a Baku?
«Nel corso del XX secolo, gli artisti in Azerbaijan hanno prodotto opere basate sulla ricchezza della terra da un lato - che si tratti di paesaggi naturali o industriali - e dall’altro hanno risposto all’influenza del realismo socialista. Oggi c’è la libertà di espressione e gli artisti stanno sperimentando, rendendo la scena molto vibrante».
Alcuni sono diventati famosi?
Assolutamente - Faig Ahmed, Orkhan Huseynov, Niyaz Najafov, Rashad Alakbarov, Farid Rasulov, Aida Mahmudova, Farhad Farzaliyev - attraverso Biennali, mostre nei musei e gallerie internazionali hanno costruito il loro pubblico a livello globale».
Cosa espone nel suo spazio a Baku?
«Proviamo a fare degli scambi, portando artisti azeri o regionali a Londra, e portando artisti internazionali, come Michelangelo Pistoletto, a Baku».
Hanno comprato Pistoletto a Baku?
«Abbiamo venduto le opere, ma non alla base dei collezionisti locali. Presto le persone inizieranno a capire l’importanza di acquistare opere d’arte di artisti internazionali oltre a quelli azeri. I collezionisti in Azerbaijan sono molto istruiti e viaggiano molto, quindi è interessante vedere i loro modelli di acquisto in patria».
Sta cercando di rendere gli artisti azeri internazionali in modo che uno o due di loro diventino delle star?«Farò tutto il possibile per promuovere e far diventare famosi gli artisti dell’Azerbaijan».
La vendita su Internet acquisterà ancora spazio?
«Diventerà importante, ma non sostituirà lo spazio fisico che mostra un’opera d’arte, un artista, una collezione».
Londra rimarrà un buon posto per l’arte o la Brexit la influenzerà?
«Londra non diventerà mai meno importante, ma potrebbe evolversi. Londra, come New York e Parigi, sarà sempre un luogo importante per l’arte». 
Traduzione di Carla Reschia