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 2020  ottobre 25 Domenica calendario

Bambole, non c’è una sterlina: lavorate nel Cyber

Davvero la cultura non è essenziale? Davvero tutte le partite Iva e i freelance e i cococo e i liberi professionisti del vasto e variegato mondo delle arti sono figure professionali più o meno inutili, che tanto vale si diano da fare per trovare un altro lavoro? La polemica parte da molto lontano, ma limitiamoci all’ultimo capitolo, che è scoppiato in Gran Bretagna e porta con sé tante riflessioni.
Proprio nel giorno in cui il ministero della Cultura annunciava la lista delle prime 1.300 organizzazioni (tra teatri, musei, orchestre e sale da concerto) beneficiari del Cultural Recovery Fund da 1 miliardo e 570 milioni di sterline, è apparsa una pubblicità veramente infelice.
C’è la foto di Fatima, in tutù rosa, che si allaccia le scarpe da ballo. Lo slogan recita: «Il prossimo lavoro di Fatima potrebbe essere nel cyber. Anche se lei ancora non lo sa». Il messaggio sottinteso è che è inutile farsi illusioni: con la cultura non si mangia, o comunque si rischia di fare la fame. In questo mondo incerto che verrà non c’è posto per aspiranti ballerine (anche se ancora non lo sanno). Meglio appendere le scarpette al chiodo e cercarsi un lavoro «serio», qualcosa legato alla solidità dei numeri e della scienza, in un campo che non conosce crisi, la tecnologia appunto. E nello specifico la Cybersecurity.
Il mondo creativo non l’ha presa bene. Anche perché in Gran Bretagna il settore è stato messo in ginocchio dalla pandemia, ma di per sé sarebbe estremamente florido. Secondo l’Arts Council England, l’industria delle arti e della cultura contribuisce con più di 10 miliardi di sterline l’anno all’economia del Regno Unito.
Oliver Dowden, ministro della Cultura e – notare bene – anche del Digitale, Media e Sport, si è precipitato a chiarire che la pubblicità non viene da lui. Che anzi il governo ne prende le distanze. Circostanza curiosa, perché il poster porta la sigla della campagna governativa «Cyber First» con il motto che l’accompagna, «Rethink, Reskill, Reboot» (Ripensa, Riqualificati, Riavvia), ovvero l’esortazione a ripensare il proprio futuro e a rimettersi in gioco cercando altri lavori dopo essersi aggiornati professionalmente.
Al di là della polemica sulla paternità della pubblicità - che comunque è stata già ritirata - il discorso interessante è quello che questo lapsus governativo, ammesso che sia un lapsus, fa trapelare. L’invito a passare a lavori più scientifici e a spingere gli studenti verso il mondo delle Stem è parte della strategia di lungo termine cara a Dominic Cummings, il potente consigliere di Boris Johnson, che sogna una Gran Bretagna proiettata in un futuro ipertecnologico finalmente libero di volare alto sulle ali dei chip, senza i laccioli delle regole europee e dei limiti posti da Bruxelles agli aiuti di Stato. Un mondo nuovo fucina di startup, una Silicon Valley sulle sponde del Tamigi, una Google inglese finanziata e controllata dal governo, capace di fare della Gran Bretagna la nuova potenza tecnologica del mondo. I colloqui con le aziende del Big Tech sono intensi e questa è una delle grandi scommesse della Brexit.
La gaffe della ballerina però è significativa. Avviene a poca distanza dall’uscita del ministro delle Finanze Rishi Sunak, che aveva incoraggiato i lavoratori dell’industria artistica in difficoltà a riqualificarsi. Bisogna «adattarsi», aveva detto, e aveva promesso che si sarebbero aperte «nuove opportunità» per le persone che non potevano svolgere i loro vecchi lavori. In linea di massima un discorso sensato, visto che la pandemia sta distruggendo vecchi lavori e sarà necessario crearne di nuovi. Ma, come ha scritto Tim Burgess, chitarrista e voce del gruppo rock The Charlatans, in una lunga lettera al Guardian, «le arti non sono un hobby lussuoso. Sono un’ancora di salvezza per milioni di lavoratori». Tra l’altro, non sono tutti Ed Sheeran o Adele o attori famosi. Molti dei creativi fanno già altri lavori, non nel Cyber ma come baristi, camerieri o dog sitter, per sbarcare il lunario. Ma sono la spina dorsale, seppure invisibile, di un paese che negli ultimi cinquant’anni ha contribuito a plasmare l’immaginario del mondo, ha creato sogni e venduto bellezza. In effetti, difficile immaginare una Londra senza più i musical, senza i teatri shakespeariani, una Inghilterra senza 007, senza concerti, senza pop, senza i musei, Glastonbury e i Proms.
I lavoratori «non essenziali» sono un po’ come la salute: ti accorgi quanto sono importanti quando li perdi.