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 2020  ottobre 25 Domenica calendario

I 130 anni del Gambrinus

“Speriamo di tornare alla normalità, attendo il presidente Mattarella che quest’anno non è ancora venuto, è un fatto scaramantico”. Intanto si va avanti, con mascherine, igienizzanti e iniziative esorcizzanti: nei giorni scorsi, chi ordinava seduto dalle 9 di sera pagava lo stesso prezzo delle consumazioni al banco. E non si tratta di tavoli qualsiasi: in queste sale si respira la storia di Napoli, d’Italia e internazionale. “Abbiamo superato guerre, terremoti e pestilenze. Riusciremo a sconfiggere anche il coronavirus”: parola di Antonio Sergio, titolare, col fratello Arturo e Massimo Rosati, del Gran Caffè Gambrinus, tra i più blasonati al mondo. Il locale partenopeo, che deve il nome al re delle Fiandre, inventore della birra, sta per festeggiare i suoi primi 130 anni di vita. Venne inaugurato il 3 novembre del 1890, ristrutturato e riformulato a mo’ di incrocio tra café chantant, galleria d’arte e salotto letterario.
La primissima assoluta era andata in scena il 12 maggio del 1860, a ridosso dell’Unità, e la sede era già quella, con affaccio su via Chiaia e in piazza Trieste e Trento. Ma trent’anni dopo sarebbe cominciato tutto un altro spettacolo. Tra affreschi d’autore e velluti rossi, i marmi pregiati e un’atmosfera intrisa di Belle Époque, al Gambrinus si è accomodato nel tempo un impressionante florilegio di scrittori, artisti e filosofi nazionali e dal resto del globo. A partire da Benedetto Croce: quando voleva seminare gli occhiuti gerarchi fascisti, si rintanava lì. Qual migliore nascondiglio delle sale dorate coi “tavolini cioccolata”, tra un babà, una sfogliatella e qualche appunto da prendere al volo?
E sorvoliamo sul passaggio iniziatico della principessa Sissi: all’imperatrice d’Austria, eternata da film e rotocalchi popolari, è tuttora dedicato il suo gusto preferito di gelato, “violetta”. Presto il caffè divenne una tappa fissa del Grand Tour versione novecentesca. Si accendevano mille querelle intellettuali e politiche, e ogni tanto eventi memorabili. Matilde Serao, la grande giornalista-scrittrice, lo cita nel romanzo Il paese di cuccagna e col collega e compagno Edoardo Scarfoglio vi fondò il quotidiano Il Mattino.
Gabriele D’Annunzio era un habitué. Un giorno, per scommessa, vergò tra le sue mura la poesia ‘A vucchella: la musicò il conterraneo Francesco Paolo Tosti, e a sospingerla nel mito la voce di Enrico Caruso.
Oscar Wilde sbarcò nel 1887, dopo la prigionia nel carcere di Reading: rimase a Posillipo (“tregua dal pericolo” in greco) fino al marzo dell’anno successivo, e al Gambrinus era di casa. E che dire del blitz di Filippo Tommaso Marinetti e futuristi vari, che presero a intonare l’Inno Reale ibridato con la musica delle “dame viennesi napoletane”? Jean-Paul Sartre, in libera uscita dai bistrot, scrisse: “Verso sera ero capitato alla terrazza del caffè Gambrinus, davanti a una granita che guardavo malinconicamente mentre si scioglieva nella sua coppa di smalto. Mi domandavo: ma sono a Napoli? Napoli esiste?”.