il Fatto Quotidiano, 25 ottobre 2020
Biografia di Saverio Raimondo raccontata da lui medesimo
Carlo Freccero, durante un esame all’università, lo ha apostrofato così: “Lei ha un’età indefinita tra i 10 e i 40 anni”.
Saverio Raimondo di indefinito ha, ancora oggi, solo l’età, e rispetto allo Zelig del suo mito Woody Allen, non prende le forme della vita a seconda di chi frequenta, ma a 36 anni porta se stesso ovunque e sempre, fiero delle sue giacche retrò (“l’abbigliamento degli anziani è il più comodo”), del suo percorso da comico ossessionato dalla comicità (“da bambino ero un comedy-nerd”); della sua vita riservata fuori dai riflettori (“Io in discoteca? Meglio a casa”) e dell’attitudine a guardare in faccia e non nascondersi nei giudizi, neanche quando parla di sé.
Come sta?
Bene nel senso certificato del termine: per lavoro mi sottopongo a continui tamponi e test sierologici.
Fastidioso.
Non tanto, un po’ perché credevo peggio, un po’ perché sono abituato a sentire la mia voce stridula.
È uno dei pochi ad aver trovato spunto dal lockdown. Giusto lei e Renato Zero.
(Scoppia a ridere) Che ho scoperto essere un mio fan: un anno fa mi ha fermato per dirmelo, quando sono io a seguirlo da ben prima che iniziassi questa vita.
Stupito.
Sì, soprattutto che mi abbia inquadrato come Saverio Raimondo e non come Luigi Di Maio.
C’è somiglianza.
Purtroppo sì, e l’equivoco capita pure quando indosso la mascherina; (breve silenzio) in certi casi, per fugare i dubbi, declamo i congiuntivi.
Insomma, ispirato.
La mia comicità nasce dal disagio, trae ispirazione dagli sbagli, dagli errori; in una situazione del genere ci sguazzo, con l’amplificazione del mio pessimismo atavico.
Pure pessimista.
La pandemia rientra alla perfezione nel tipo di narrazione che normalmente si scatena nella mia testa; però vengo da una fase di difficoltà, soprattutto dopo lo sbarco sul canale Netflix.
Cioè?
Alla fine temevo di aver esaurito un percorso, avevo voglia di cambiare, e così ho deciso di ‘sporcarmi le mani’, mi raccomando tra virgolette, con i miei interventi a Porta a Porta; forse la situazione più sbagliata per un comico, e proprio perché sbagliata la rivendico.
Tradotto.
Il comico deve cercare l’errore.
Come va con Vespa?
Da lui mi aspettavo un atteggiamento censorio, invece ho scoperto una persona con un’ironia insospettabile.
Alt: Vespa è ironico?
Televisivamente parlando è una spalla incredibile, e chiosa i miei interventi con battute che sono più divertenti delle mie.
Lei è del 1984, ma non sembra…
Più vecchio o più giovane?
Maturo.
In effetti Freccero aveva ragione.
Un aspetto positivo di questa situazione da Covid.
La scomparsa del pubblico dalle trasmissioni: prima o non serviva niente, come nei talk show o a Chi l’ha visto?, oppure applaudiva e rideva in situazioni non interessanti né tantomeno comiche.
Ha il virologo preferito?
Sì, quello che non va in televisione; sono un grande estimatore della scienza, e quella che in questi mesi è apparsa in video non ha mostrato il meglio di se stessa; la scienza ha il dovere di studiare e di apparire solo dopo aver acquisito dei risultati; avrei puntato più su comunicatori come Piero Angela, colui che sta tra la sfera scientifica e quella mediatica.
Si è dichiarato privo di mitomania.
Mi hanno salvato narcisismo ed egocentrismo, e poi la mitomania viaggia più sui social, e lo vedi con tutti questi influencer che corrono a dichiararsi contagiati. Oramai è una forma di status symbol, con il sottinteso: se l’ho preso io può capitare a tutti.
La mitomania l’ha toccata quando è andato a Sanremo?
Il Festival è lo specchio di chi siamo, è la metafora della nostra inadeguatezza: il più grande evento italiano viene organizzato in un paese di provincia, isolato, mal collegato, all’interno di un teatro che è poco più grande di una struttura parrocchiale.
Con quanto si è diplomato e laureato?
98 o 99 alla maturità, e 110 e lode all’università con una tesi sull’analisi dei film.
Si è applicato…
Sono vecchia scuola, e penso sia fondamentale studiare e approfondire, ma se ho studiato e approfondito è solo perché certi argomenti mi ossessionavano.
In particolare?
La comicità è la mia ossessione, sono da sempre un comedy-nerd, e questa pulsione non nasce come necessità intellettuale, ma quasi viscerale.
Partita da quando?
Da piccolissimo con Charlot e Fantozzi, poi a 14 anni ho scoperto Woody Allen ed è stata la fine: sono arrivato ad amare anche To Rome with Love, con Benigni lasciato a via Veneto, disperato in mutande; forse, involontariamente, è la metafora del Benigni degli ultimi anni.
Il suo primo pubblico.
La classe delle elementari: incitato dalla suora organizzavo spettacoli con le marionette: anche lei non tarpava questa necessità di narcisismo. Poi sono andato avanti, medie e superiori, dove riuscivo pure a imitare i professori; (sorride) da quando mi è mutata la voce, così stridula, le imitazioni sono diventate impossibili.
A 18 anni è con la Dandini.
Sì, ma niente di epico.
Neanche storico?
Semplicemente ho partecipato a un provino, e senza alcuna esperienza: mi sono presentato con l’incoscienza del 18enne, e mi hanno preso per collaborare ai testi della sua trasmissione.
Emozionato?
Il mio problema e la mia risorsa è che ancora oggi mi emoziono, e me ne rendo conto dalla salivazione e dalla tremarella, ed entrambe convivono con il mio livello narcisistico.
A 18 anni cosa ha scoperto della tv.
Per fortuna è stata un’esperienza deludente, mi ha disilluso, ha ridimensionato le aspettative, e per questo ne sono grato.
Disilluso da cosa?
Uno parte con la mitomania dell’adolescente, convinto di spaccare il mondo, al contrario non accade, come giusto, e scatta il compromesso: compromettersi è fondamentale, e non sempre è fattore negativo.
È necessario sapere chi si è per poi non perdersi.
Fondamentale, e serve a decidere i confini della compromissione per poi uscirne non compromessi.
Lì ha conosciuto Corrado Guzzanti.
Con lui ho lavorato nella serie Dov’è Mario?: lui è una comedy legend; (ci pensa) sono stato fortunato, perché Woody Allen racconta che quando ha incontrato il suo mito, Groucho Marx, ha scoperto che non era molto diverso da suo zio; al contrario, quando ho conosciuto Corrado, ho capito che era esattamente Corrado Guzzanti: una persona speciale, e speciali sono le sorelle Sabina e Caterina.
Ha lavorato con loro.
Talenti enormi, e diversi, con in comune un’istintività invidiabile. Io le situazioni le devo macerare a lungo.
Si è dichiarato asociale e sociopatico per scelta.
È vero, sono più intimista che individualista: le persone mi piacciono singolarmente, non amo gli assembramenti; (ci pensa) sono molto riservato, compreso con i social: per me sono una vetrina per il lavoro non uno strumento per la cronaca della mia vita.
A tavola con gli amici, qual è il suo ruolo?
Non sono un buontempone, non sono l’anima della festa.
Chi paga il conto?
Istintivamente, io.
Da ragazzo, discoteche, locali…
Troppo impacciato, e un po’ non mi invitavano e un po’ non li andavo a cercare, ci sarei stato a disagio; (sorride) i contesti sbagliati li cerco solo professionalmente perché divertenti, mentre umanamente preferisco restare a casa. (ci pensa ancora) In definitiva sono da sempre un borghese piccolo piccolo, anche nel senso fisico del termine.
Perennemente in giacca.
Sono l’indumento più comodo e gli anziani hanno capito tutto: il loro stile è perfetto, mentre il jeans più è alla moda e più è scomodo; con i pantaloni d’anziano può avere un’erezione e passare inosservato.
Dipende dalle dimensioni.
Io li porto molto larghi.
In un suo programma Magalli ha sparato all’immagine di una volpe…
(Ride) Ha fatto tutto da solo. L’ho portato in un poligono per esplorare il suo lato cattivo e un po’ cinico e ho scoperto che è un vero tiratore, uno che sa usare un’arma; così gli ho proposto una serie di obiettivi, e ha mirato subito all’immagine della volpe. Ora non so se era riferito ad altro (Magalli polemizza da anni con Adriana Volpe, sua ex partner nel programma di Rai2).
Nel suo curriculum c’è Belén.
Ed è identica a come appare; in trasmissione non portava il reggiseno, ed era evidente dalle trasparenze, ma non ne aveva bisogno: ingegneristicamente parlando sarebbe stato superfluo; e poi non mangiava mai, a parte dei ghiaccioli.
E basta.
Parla poco, interagisce meno; mi ricordo più di Fabrizio Corona: durante il programma arrivava in Rai e girava gli studi scalzo e con in mano un mojito. Eppure erano le due del pomeriggio.
Personaggio, sempre.
Forse voleva dimostrare un certo senso di potere, trasmettere il ‘qui sono a casa mia’; in realtà il mio senso da piccolo borghese era allarmato solo dalle possibili verruche.
L’ha mai spiazzata un ospite?
Con Elettra Lamborghini: è assolutamente aliena, qualunque domanda le rivolgessi, era certa di aver capito, e invece rispondeva a caso, con un risultato esilarante; poi Fabio Volo: era convinto di una mia imboscata e si presentò in trasmissione tesissimo, per poi scusarsi il giorno dopo.
Un ospite che davanti alla telecamera è cambiato.
Forse proprio io.
Si riguarda?
Sì, ed è sempre un’esperienza devastante perché noto solo gli errori; con me le critiche non sono costruttive perché già le conosco, mentre imparo dai complimenti.
Lei in un reality.
Non sarei giusto: lì c’è bisogno dell’esibizionista che non ha niente da esibire. E poi sarei noioso.
Davanti a una cifra iperbolica?
(Pausa) I soldi sono sempre i soldi, ma contrariamente alla mia etica economica, confermerei la rinuncia.
Un vizio.
A parte il fumo, la droga e il gioco d’azzardo, credo di averli tutti.
Personaggio letterario preferito.
Portnoy di Roth per la sua spudorata confessione e la libido sfrenata.
Legge l’oroscopo?
No, avrei paura di scoprire che ha ragione.
Gioca alla lotteria?
Già la tombola è un azzardo.
Chi è lei?
(Per la prima volta resta a lungo in silenzio. Prende fiato. Sospira. Si ripete la domanda) Un lavoratore, ma nel vecchio senso del termine: per fare qualcosa, tu mi devi dare dei soldi, non dei follower.